Se non hai deciso per chi votare, mi permetto di farti leggere alcune considerazioni:
La giustizia negata e il declino italiano
Un Paese senza giustizia condanna il popolo e le istituzioni stesse a vivere nella illegalità. In Italia sono 10,8 milioni i processi e le cause pendenti (uno ogni 5,6 abitanti), 160.000 i procedimenti penali annullati ogni anno dalla prescrizione dei termini (dal 1996 al 2008 sono stati 2.058.058, per un costo di 84 milioni di Euro l’anno), il 90-95% dei reati restano impuniti. Nel 2005, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, stimava che “circa il 30 per cento della popolazione italiana era in attesa di una decisione giudiziaria”.
Mario Draghi, nelle considerazioni finali di Bankitalia, il 31 maggio 2011 dichiarò: “ Nostre stime indicano che la perdita annua di PIL attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale”. Il Commissario per i diritti umani del consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, il 23 agosto 2012 scrisse “molti interlocutori, tra cui il ministro della giustizia, hanno riferito che a causa dell’inefficienza della giustizia civile, la crescita annua del PIL italiano stimata potrebbe subire una riduzione fino all’1%. La quantificazione nell’1% del PIL perso a causa dei tempi della giustizia civile è confermata dal rapporto “Doing business 2012” della Banca mondiale, che posiziona al 158esimo posto su 183 per tempi e efficacia di risoluzione dei contratti civili. Per recuperare un credito ci vogliono 1.210 giorni in Italia, 331 in Francia, 300 giorni negli Usa.
Il Centro Studi di Confindustria (2011) stima che smaltire l’enorme mole di pratiche giudiziarie frutterebbe alla nostra economia il 4,9% del Pil, ma basterebbe abbattere anche del 10% i tempi di risoluzione delle cause per guadagnare lo 0,8% del Pil l’anno. Non è un problema di scarsità di risorse impiegate, dal momento che la spesa per la giustizia è la seconda più alta in Europa, dopo quella della Germania.
Ogni recente riforma affrontata dal Parlamento italiano (dalla riforma del lavoro a quella sulla corruzione) è vanificata dalla paralisi dei tribunali.
Dove la Peste italiana già uccide: il carcere
Il 31 ottobre 2012 nelle carceri c’erano 66.685 detenuti, cioè oltre 22.000 in più della capienza; di questi, quasi il 40,1% in attesa di giudizio. Il tasso di affollamento è del 142,5% (la media europea è del 99,6%).
“La situazione delle carceri italiane è “fuori della Costituzione” dichiara il ministro della Giustizia Angelino Alfano” (15 marzo 2009). Il 13 gennaio 2010 il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza. “Una realtà che ci umilia in Europa”, ha dichiarato il Presidente della Repubblica Napolitano nel Luglio 2011. In Italia di carcere si muore: secondo il centro studi di Ristretti Orizzonti, dal 1990 al 2012 i suicidi sono stati 1.120; i tentati suicidi 18.164 e gli atti di autolesionismo 116.570. Negli ultimi venti anni nelle carceri italiane si è registrato in media ogni anno 1 suicidio ogni 989 detenuti. L’incidenza dei suicidi è quasi 20 volte quella fuori dal carcere.
Italia delinquente professionale in Europa
L’Italia è fra gli Stati più condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per violazioni della Convenzione europea sui diritti umani e in particolare dell’art. 6, che impone agli Stati di garantire una durata ragionevole dei processi. Il 37 per cento di tutte le sentenze di condanna da parte della Corte per inefficienza della giustizia è a carico dell’Italia. Nel 2009 la Corte emette 61 sentenze di condanna contro l’Italia: più di qualsiasi altro Stato dell’Europa occidentale. Al 31 dicembre 2009 pendono presso la Corte 7.158 casi riguardanti l’Italia, cioè il 6 per cento del totale (solo Russia, Turchia, Romania e Ucraina ne contano un numero maggiore). Di tali casi, 2.889 sono per la durata eccessiva dei processi. Nel 2010, il risarcimento danni da parte dello Stato italiano per i processi troppo lunghi ha superato i 300 milioni.
L’Italia è lo Stato con il maggior numero di sentenze di condanna della Corte europea di Strasburgo non eseguite sul piano interno: 2.467 su un totale di 3.544 casi pendenti dinanzi al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Nel marzo 2009, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa richiama l’Italia a risolvere il problema strutturale dell’eccessiva durata delle procedure giudiziarie nei processi civili, penali e amministrativi. L’ultimo richiamo del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa risale al 13 marzo 2012, quando ha rilevato che “la situazione concernente l’eccessiva durata dei processi e il malfunzionamento del rimedio esistente (legge Pinto) rimane estremamente preoccupante e richiede l’adozione urgente di misure su larga scala in grado di risolvere il problema”. Secondo il Comitato dei ministri, il funzionamento della giustizia italiana costituisce “un serio pericolo per il rispetto della supremazia della legge, perché comporta una negazione dei diritti sanciti dalla convenzione europea dei diritti umani e una minaccia seria per l’efficacia del sistema che sottende alla stessa convenzione”
L’amnistia
Il problema strutturale necessita di una soluzione altrettanto strutturale. A meno di accettare che lo Stato italiano continui a violare le regole sia internazionali sia interne, la soluzione deve operare in tempi immediati. L’unica soluzione che presenta tali connotati è quella di una grande amnistia, ovvero la cancellazione della quasi totalità dei procedimenti giudiziari. Consentirebbe al sistema giudiziario di riorganizzarsi e ripartire portando finalmente a termine almeno i processi per i reati più gravi. Consentirebbe al sistema politico di affrontare sul piano legislativo le necessarie riforme, come le depenalizzazioni, richiesta pressoché unanime dei vertici apicali dello stesso Stato.
Il 25 Dicembre 2005 si tenne a Roma una grande “Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia, la libertà”. Del Comitato promotore fecero parte gli ex-Presidenti del Consiglio Giulio Andreotti e Massimo D’Alema, l’ex-Presidente della Repubblica Francesco Cossiga nonché l’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Insieme a loro, aderiscono: i senatori a vita Emilio Colombo, Rita Levi Montalcini e Sergio Pininfarina; i presidenti emeriti della Corte costituzionale Giuliano Vassalli e Antonio Baldassarre. Sia a Pasqua sia il 25 aprile 2012 altre due marce riportano nelle piazze l’urgenza della soluzione amnistia.
“(…) Questa conclamata, abituale, flagrante violazione della legalità costituzionale va interrotta subito, con misure deflattive capaci di creare le condizioni di partenza per adeguate riforme ordinamentali. Questi strumenti ci sono, la Costituzione li prevede e si chiamano amnistia e indulto. Due parole ormai bandite dal vocabolario della politica.” Così scrissero 130 costituzionalisti e giuristi al Presidente Napolitano nel giugno 2012, specificando che l’amnistia è necessaria “per ripristinare il diritto – riconosciuto dalla Costituzione e dalla CEDU – ad un processo dalla durata ragionevole”, “per ristabilire il principio di eguaglianza nell’esercizio dell’azione penale”, “a una riorganizzazione degli uffici giudiziari e ad una redistribuzione dei carichi di lavoro tra giustizia penale e giustizia civile”,e infine “per il suo effetto deflattivo carcerario”, accompagnata da un provvedimento di indulto.