“Estrarrò un dinosauro dal cilindro”, aveva promesso Silvio Berlusconi lo scorso 8 novembre, dopo l’ennesimo Ufficio di Presidenza del Popolo della Libertà concluso sull’orlo di una crisi di nervi. Mai parole furono più adatte. Perché è bastata una giornata per ritrovarsi catapultati nella preistoria. La macchina del tempo ci ha riportati al 1994. E’ di nuovo il momento della discesa in campo. E anche stavolta sarà una crociata, più che una campagna elettorale. Nel morale a terra di un Paese prigioniero delle tasse e sfiancato dalla crisi, il Cavaliere ha visto l’opportunità di una nuova battaglia ed una possibilità di vittoria. Il problema fondamentale è che stavolta, dall’altra parte della barricata, non ci sono Occhetto con la sua gioiosa macchina da guerra, o il faccione funereo di Romano Prodi. E in realtà, neppure Monti. Dall’altra parte si trova il destino di un’intera nazione che rischia di diventare una sorta di Argentina in salsa europea.Berlusconi sfrutterà il malcontento e l’insofferenza degli Italiani per condurre una campagna elettorale basate su pochi, ma chiari, punti fermi: anti europeismo, critica senza quartiere all’operato del governo Monti, contestazione della leadership tedesca in Europa. Il tutto, condito dai soliti ritornelli, ormai “storici”, contro i poteri forti che per vent’anni non gli hanno permesso di governare come avrebbe voluto. Questo programma elettorale apparentemente becero farà breccia, invece, nei cuori dei vecchi aficionados e di molti cittadini esasperati. Il Cavaliere punta a creare un’alternativa populista ma “istituzionale” al Movimento 5 Stelle, che finora è stato l’unico catalizzatore del voto di protesta. E tenterà il trucco comunicativo più ambizioso: ovvero presentarsi come homo novus, incolpevole della crisi attuale, cercando di far dimenticare i fallimenti dei suoi governi. Eppure, il pifferaio magico di Arcore troverà ancora una platea disposta a lasciarsi incantare. Lo scriveva già Niccolò Machiavelli nel Principe: “Sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare.”Un’operazione mediatica che è già iniziata, con l’aggressivo ritorno in tv di Daniela Santanchè e di Renato Brunetta, mandati subito in prima linea a sostenere le tesi più improbabili nel tentativo di ricostruire una verginità a chi è già stato al governo e ha miseramente fallito. La speranza è che i tanti Italiani che stanno vivendo momenti di difficoltà, e i tanti giovani senza lavoro, non si lascino prendere in giro per l’ennesima volta. E magari non abbiano la memoria corta, e ricordino che Renato Brunetta era quel ministro che suggeriva ai ragazzi di andare a lavorare ai mercati generali. Chi si è – giustamente – risentito per l’antipatico “choosy” di Elsa Fornero, ora non può pensare di dare il proprio voto a chi, in passato, si è lasciato andare ad espressioni ancora più infelici. Brunetta non si illuda, con qualche arringa populista, di poter diventare improvvisamente credibile.Bersani, da poco benedetto dal successo alle primarie, osserva i movimenti nel campo avversario. Ma ben poco successo avranno le ricette di Hollande, che il centrosinistra italiano non vede l’ora di applicare. Patrimoniale e ulteriore aggravio della pressione fiscale, nell’ideologica ricerca della redistribuzione del reddito, aggraveranno la recessione e non daranno alcuna prospettiva di crescita al Paese. Resta da decifrare il futuro di Mario Monti, che strategicamente se n’è andato sbattendo la porta, vanificando le speranze pidielline di una guerra di logoramento nella quale trascinare l’esecutivo fino alle elezioni. Questa sarà l’offerta politica per febbraio e sarà resa ancora più granitica dalla conferma del Porcellum, che estremizzerà come di consueto il confronto e proporrà la solita illusoria ‘scelta di campo’ giocata sulla pelle dei cittadini.In realtà, non c’è nessuna scelta di campo da compiere. Nessuna delle proposte, infatti, è imperniata su un messaggio reale e credibile di cambiamento. Declamare la crisi è facile; risolverla sarebbe un compito per statisti – in Italia e in Europa – dei quali non v’è traccia. Si mescolano demagogia, puro tornaconto personale, e statalismo che porteranno il Paese ad imboccare la strada per Buenos Aires. Un peronismo mediterraneo – declinato nelle urla di Grillo, negli anatemi di Berlusconi e nelle anacronistiche ricette socialiste di Bersani – teso esclusivamente a preservare lo status quo, e destinato a soffocare la discussione sui problemi veri. Ovvero quelle criticità che costituiscono un fardello ormai insostenibile: l’ipertrofia dello Stato, la pressione fiscale a livelli record, la spesa pubblica incontrollabile, la riforma mai attuata dell’architettura istituzionale del Paese, le liberalizzazioni mancate, i costi e privilegi mai tagliati non solo della classe politica, ma di tutti quei centri di potere piccoli e grandi che tengono ingessata la struttura economica italiana.Agli Italiani si chiederà, ancora una volta, di andare a votare per quello che ritengono il male minore. Di scegliere tra le cariatidi ricoperte di cerone e i riciclati che si propongono come paladini della responsabilità. E, forse, anche tra i tecnici deludenti ed inconcludenti. Non è chiaro quale futuro possa avere un Paese che ha ciclicamente bisogno di un finto Messia, e non è altrettanto chiaro che prospettiva possa avere un’Unione Europea ancorata ad equilibri fragilissimi. Consoliamoci con i ristoranti che, sicuramente, tra poco torneranno di nuovo pieni come nel novembre del 2011.
da The Fielder