Per chi i diritti li ama da sempre, come noi, in Italia sono tempi bui. Ma è all’Europa che dobbiamo guardare. Da europei, ne abbiamo tutto il diritto.
L’Unione Europea è l’area del mondo che assicura la maggiore tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. È qualcosa di cui andare molto fieri, ma non tutti gli stati membri abbracciano in tutto questa definizione. A partire purtroppo dall’Italia, in cui tanti di questi diritti vengono ancora messi in discussione, i paesi in cui certe libertà vengono apertamente minacciate, come l’Ungheria di Orban, sono proprio quelli che non intendono cedere sovranità sul tema dei diritti individuali e rivendicano il diritto a un’eccezione nazionale. Sono, quindi, i paesi meno europei. Per questo ci chiamiamo +Europa. Perché l’Europa che vogliamo non ha confini, soprattutto non di genere, non di religione, non di colore della pelle, di orientamento sessuale, di età, di disabilità. Vogliamo un’Europa di cui andare fieri, completamente. Un’Europa da amare, in ogni forma.
Europa baluardo dei diritti umani e civili, per tutte e tutti.
Dobbiamo esigere che i paesi membri dell’Unione uniformino al rialzo il livello di tutela e protezione dei diritti umani e delle libertà civili, riconoscendo piena cittadinanza e dignità a ogni individuo. È necessario sanzionare e ridurre la quota di fondi europei per quei paesi membri che invece imboccano la strada della limitazione, in qualsiasi forma, delle libertà personali, dei diritti delle minoranze e della libertà di accesso alla libera informazione. Ad esempio, vogliamo che le coppie omosessuali congiunte civilmente vedano riconosciuto automaticamente il loro nucleo familiare in ogni paese dell’UE sulla base di leggi condivise e senza dover aspettare, di volta in volta, le sentenze di singoli giudici.
L’importanza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo
Su alcuni temi civili – dalla fecondazione assistita, al riconoscimento delle famiglie omosessuali, dai diritti delle persone detenute, al trattamento dei migranti – l’Italia è stata ripetutamente condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che, pur senza essere un’istituzione dell’Unione, sanziona le violazioni dei diritti fondamentali negli stati membri dell’Ue. La stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a vigilare sull’osservanza dei trattati, è stata in molti casi fondamentale non solo per censurare la violazione da parte degli stati del diritto comunitario, ma, contestualmente, per proteggere i cittadini da queste violazioni e per affermare i loro diritti fondamentali. Ad esempio, proprio una sentenza della Corte di Giustizia europea ha riaperto in Italia, nella scorsa legislatura, la questione della responsabilità civile dei magistrati.
Una Cittadinanza Europea, per dare ai diritti piena cittadinanza
Le quattro “libertà di movimento” (di persone, beni, servizi e capitali) su cui si fonda il funzionamento del mercato comune ha tradotto in termini economici il principio di una piena e uguale cittadinanza europea, che sul piano dei diritti individuali è invece ancora lontana dal pieno compimento.
In Italia non vi è praticamente alcuno dei temi di scontro sui diritti civili (famiglia, diritti LGBT, fine vita…) in cui la posizione nazionalista non sia insieme anti-europea e ostile all’adeguamento degli istituti giuridici al mutamento del costume sociale. Come sui temi economici, anche sui temi civili, il nazionalismo oppone alla libertà degli individui e delle formazioni sociali il “primato” delle decisioni dello Stato. Esattamente come negli anni 30, protezionismo e stato etico, violazione delle libertà economiche e oppressione delle libertà morali dei cittadini, sono due facce della stessa medaglia.
A questa sfida, l’Unione non può rispondere solo con le sentenze delle sue corti, ma deve ormai reagire con un’iniziativa politica, come quella avviata (e ben lontana dal concludersi) dal Parlamento europeo contro l’Ungheria, in base all’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, per la violazione dei diritti umani e della libertà di stampa e di associazione. Perché l’Ue rimanga un presidio della libertà dei cittadini europei, non deve tollerare zone franche di violazione dei diritti umani all’interno degli stati membri e deve reagire con gli stessi strumenti già messi a disposizione dai trattati europei.
L’Europa è donna: per un continente senza confini di genere
L’Europa ha tra i suoi membri alcuni dei paesi più avanzati al mondo nel garantire una piena integrazione delle donne nella vita economica e sociale. Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Non solo alcuni paesi – tra i quali l’Italia – procedono a rilento su questo percorso e restano lontani dal garantire a tutte le donne le opportunità che meritano, altri sembrano addirittura indietreggiare, guidati da una nostalgia per tempi passati.
Vogliamo impegnarci perché questo non accada, e anzi affinché l’Europa continui a giocare al rialzo sull’eguaglianza tra uomo e donna. Innanzitutto estendendo a tutti i paesi membri le esperienze positive che hanno funzionato in molti paesi: dal congedo parentale obbligatorio anche per gli uomini alle normative per la parità nelle retribuzioni tra uomo e donna, dai sistemi di denuncia e protezione contro la violenza e il femminicidio alla promozione dell’educazione tecnico-scientifica tra le ragazze. E affrontando anche le grandi sfide che ancora restano irrisolte, e che anzi rischiano di peggiorare in futuro, per esempio con l’invecchiamento della popolazione che richiederà di pensare modelli nuovi per la cura delle famiglie e degli anziani.
Immigrazione: per restare umani ci vuole l’impegno di tutti
Un welfare e un mercato del lavoro realmente europeo deve farsi carico anche della ripartizione fra Paesi membri dei flussi migratori in arrivo. Oggi la questione è rimessa ad accordi ormai superati dalla tattica del “braccio di ferro” fra Stati. In definitiva è il ritorno della legge del più forte, sulla pelle dei più deboli e sfortunati. Ma se lasciamo che ogni paese difenda da solo le proprie frontiere, il risultato sarà solo un disastroso incremento dei conflitti interni nell’Unione (come dimostrano le minacce sul Brennero della sovranista Austria contro la sovranista Italia). Occorre invece una visione – che muova dall’umanesimo europeo, dal principio di eguaglianza, dalla centralità della persona, dell’individuo, della sua dignità, volontà e libertà – e soprattutto occorre una gestione globale e coordinata del fenomeno. C’è bisogno di un piano europeo. C’è bisogno di più Europa.
L’Europa deve ripudiare la logica del “reato di soccorso” e riconoscere agli stranieri più deboli e ai perseguitati che le si rivolgono lo stesso statuto di diritti inviolabili che riconosce ai propri cittadini. Deve assumere come europee le competenze necessarie a disciplinare e governare la presenza e l’integrazione, definendo politiche legali e adeguate di collocamento, integrazione, ingresso, circolazione, ricongiungimento, asilo ed espulsione, eguali e integrate in tutti i Paesi membri. È necessario introdurre in tutti gli Stati membri dell’Unione – coerentemente con l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “Welcoming Europe”, che sosteniamo – i meccanismi che permettano ai migranti e ai rifugiati vittime di reati di presentare ricorsi e sporgere denunce alla polizia in modo sicuro, dando piena attuazione a quanto previsto dalle normative UE in materia. Le istituzioni europee devono essere messe innanzitutto in condizione di gestire le frontiere europee con un proprio contingente di mezzi e persone; occorre istituire un diritto di asilo europeo con l’apertura di canali legali e sicuri per proteggere chi scappa dalla lesione di diritti umani, con piani di ricollocamento proporzionato all’interno di tutti i Paesi membri.
La sempre più vecchia Europa, con i suoi bassi tassi di natalità, può e deve organizzare ordinate politiche di ingresso degli stranieri che vogliano integrarsi, lavorare o riunirsi alla propria famiglia, e deve farlo anche nell’interesse delle popolazioni europee, che già non sono più in grado di produrre le risorse sufficienti ad assicurare la previdenza necessaria a se stesse. Il fenomeno migratorio verso l’Europa deve essere affrontato con gli strumenti del diritto internazionale, investendo nelle politiche d’integrazione, cioè nelle sole politiche che incrementano la coesione sociale, ripensando l’urbanistica e investendo nelle periferie, per superarne il degrado.