Per un paese all’altezza del suo ruolo nel mondo. Perché l’Italia torni a essere un esempio e non il fanalino di coda dell’Europa.
Un’altra Italia esiste, ed è un’Italia di cui andare fieri. È il paese di chi ha voglia di crescere, di tornare ad essere grande. Di chi crede nei diritti e nella libertà, e non vuole cedere neanche un passo a chi invece ce li vuole togliere. È un’Italia che non si arrende, che vuole cambiare con coraggio ciò che la rende debole. Un’Italia più tecnologica, più efficiente e meno burocratica. Un’Italia davvero credibile perché crede nel lavoro, nella partecipazione, nell’istruzione, nella cultura e nell’innovazione. E il punto di partenza per un’altra Italia come questa è soltanto uno: l’Europa.
Crescere in ogni senso, anche in credibilità
Seppure il dibattito politico in Italia tenda ad attribuire l’origine dei nostri problemi a cause esterne, l’economia italiana è malata per ragioni profondamente “italiane”. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite è più basso di quello di vent’anni fa, mentre nello stesso periodo di tempo è cresciuto in tutti i paesi OCSE, Grecia compresa. Anche la produttività del lavoro ristagna e troppa poca gente è al lavoro. Il tasso d’occupazione (62,3% nel 2017) è, dopo la Grecia, il più basso nell’Unione Europea e solo una donna su tre al Sud lavora. Poi c’è il debito pubblico (131,2% del PIL nel 2017), il più alto dell’Unione dopo quello della Grecia. In queste condizioni l’Italia – pur essendo uno dei quattro paesi più popolosi e un membro fondatore dell’Unione Europea – non ha la credibilità per incidere sulle scelte europee di politica economica. Il Governo ha prima scelto lo scontro frontale con Bruxelles su deficit e debito, poi di imboccare la strada di riforme (quota 100 per le pensioni, reddito di cittadinanza) che aggravano tutti i nostri mali: crescita, occupazione, produttività e finanza pubblica. L’Europa può aiutarci, investendo su infrastrutture comuni (grandi reti europee nei trasporti, telecomunicazioni ed energia), completando il mercato interno e offrendo quindi più opportunità alle molte imprese italiane che competono in Europa, rivedendo alcuni dei vincoli di Maastricht introducendo una golden rule per gli investimenti pubblici, soprattutto in ricerca e sviluppo. Ma perché l’Europa compia questi passi, è necessario che l’Italia riacquisti credibilità.
Meno burocrazia, meno evasione, meno tasse
L’Italia può e deve tornare a crescere. Può e deve essere un paese in cui si crei lavoro e benessere, dove lo sviluppo economico vada di pari passo con il rispetto dell’ambiente e l’inclusione sociale. Lo spazio per ricominciare a crescere è l’Europa. Per risalire la china occorre investire sul futuro: sull’istruzione, la ricerca, la formazione professionale. Devono tornare a crescere gli investimenti, sia pubblici che privati. Bisogna tagliare la burocrazia investendo sulla formazione di manager e dirigenti pubblici con sufficienti poteri per incidere sulla macchina amministrativa e cambiarla dal di dentro. Vanno tagliate le spese e le agevolazioni fiscali dannose o improduttive, soprattutto quelle che incentivano comportamenti nocivi per l’ambiente, e va esteso il contrasto all’evasione fiscale, per abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese. Va radicato il principio per cui il benessere attuale non può essere scaricato, attraverso un ricorso irresponsabile all’indebitamento pubblico, sulle generazioni di domani.
Ridurre il debito è una nostra responsabilità
Bisogna rimettere l’Italia su un percorso di riduzione del debito pubblico, e di ritrovata credibilità sui mercati finanziari. L’immediato effetto di un annuncio credibile di ritrovata responsabilità fiscale porterebbe a un drastico calo degli interessi sul debito. Al contrario, da quando è in carica questo Governo, il loro aumento ci costa tra i 5 e i 9 miliardi di euro. Secondo stime fornite dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, una riduzione di 100 punti dello spread consentirebbe di risparmiare circa 30 miliardi fino al 2021. Se lo spread scendesse di 150 punti le risorse sarebbero ovviamente maggiori. Ad ogni modo, il solo incremento di credibilità porterebbe a risparmiare oltre 10 miliardi l’anno di interessi sul debito.
La tecnologia a servizio della legalità
Vogliamo un intervento sulla tassazione a livello europeo delle società che operano su più paesi e sfruttano regimi di tassazione favorevoli, soprattutto dei giganti del web. In Italia, vogliamo una politica di contrasto seria all’evasione fiscale che costa all’Italia più di 100 miliardi all’anno. Va incentivato l’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili per contrastare il lavoro nero e garantire la concorrenza leale tra attività economiche emerse. Legalità e lotta alle mafie sono al centro dell’agenda di +Europa, per non lasciare i cittadini soli a difendere i principi dello stato di diritto. Il termometro della legalità passa dalla cultura e da processi educativi virtuosi, ma anche da come ripensiamo burocrazia e trasparenza dei processi. In questo, la digitalizzazione è fondamentale perché consente a imprese sane di investire evitando intoppi ed è strumento di contrasto alla corruzione.
Una giustizia all’altezza dell’Europa
L’inefficienza della giustizia è un freno allo sviluppo e alla crescita del paese. Quasi 5 milioni di procedimenti pendenti, una durata media (952 giorni in primo grado e di 3127 giorni per arrivare in Cassazione) doppia rispetto alla media mondiale e tripla rispetto a quella di paesi come Francia e Germania e un costo dei ritardi stimato in 16 miliardi l’anno: un punto di Pil. L’inaffidabilità della giustizia italiana scoraggia gli investimenti esteri e limita la competitività del sistema economico senza contare il danno arrecato all’erario dai risarcimenti. Inoltre prevale un utilizzo opportunistico del sistema giudiziario: la lunghezza e incertezza del processo ne favoriscono l’abuso, ma l’abuso del processo ne esaspera lunghezza e incertezza. È necessario spezzare questo circolo vizioso con misure che aumentino l’efficienza degli uffici giudiziari: in prospettiva una giustizia più rapida, giusta ed efficiente contribuirebbe a scoraggiare il ricorso strumentale al processo, cosa che alleggerirebbe a sua volta il carico di lavoro dei magistrati, oggi elevatissimo. È necessario arrivare alla separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante.
Impresa e università: rinnovate e sempre più vicine
Va promosso un nuovo modo di fare impresa, più aperto al merito e all’apporto di competenze e investitori esterni, più votato alla crescita e meno legato a logiche di mera sussistenza. Le imprese devono crescere di dimensioni, adottando strutture di governance più moderne e sperimentando forme più incisive di aggregazione. Le imprese dovranno essere sempre più parte di un ecosistema integrato con il mondo dell’università e della formazione. Quest’ultimo produce spesso conoscenza che pochi vogliono o sanno trasformare in innovazione e in soluzioni, prodotti commerciali e modelli di business vincenti. Le università vanno incentivate maggiormente affinché possano investire in ricerca e brevetti e attrarre finanziamenti privati. Dovrebbero essere creati meccanismi forti di incentivo per università e centri di ricerca che moltiplichino i fondi conferiti dalle aziende, e facilitino collaborazioni di tipo continuativo anche nella didattica, per esempio con progetti di lavoro sviluppati insieme da università e aziende o altri programmi di didattica applicata.