settembre 23, 2012

Forse è giunto il momento di abrogare la Legge Merlin.

Legge Merlin è il nome con cui è nota la Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 1958), chiamata in questo modo in quanto la prima firmataria era la senatrice socialista Lina Merlin.
Con questa legge veniva stabilita, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge, la chiusura delle case di tolleranza, l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e l’introduzione di una serie di reati intesi a contrastare lo sfruttamento della prostituzione altrui.
 Il fenomeno della prostituzione era già diffuso ai tempi dell’Antica Roma.
In Italia la prostituzione è stata regolamentata dallo Stato fin dai tempi antichi. Nel Regno delle Due Sicilie, già nel 1432, era stata rilasciata una reale patente per l’apertura di un lupanare pubblico; e anche nella Serenissima Repubblica di Venezia esistevano numerose case di prostituzione. Case di tolleranza erano presenti anche nello Stato pontificio. Il Regno di Sardegna introdusse il meretricio di stato (pensato, voluto e realizzato da Cavour), anche e soprattutto per motivi igienici, lungo il percorso delle truppe di Napoleone III nella seconda guerra di indipendenza italiana, sul modello di quanto già esisteva in Francia dai tempi del primo Napoleone.
Con l’unità d’Italia, una legge del 1860 estendeva questa pratica a tutto il paese, dove peraltro esisteva già una ricca tradizione di tolleranza in varie regioni. Lo Stato italiano si faceva carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione. Ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un semplice trattenimento in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali, mentre Urbano Rattazzi, anni prima, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale che una prestazione basilare doveva durare venti minuti.
Il regime fascista, con il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, aveva imposto misure restrittive nei confronti delle prostitute, obbligate a essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e sottoposte a esami medici obbligatori. La frequentazione di case di tolleranza era, prima della loro chiusura, una pratica abbastanza consueta presso la popolazione maschile, mentre le donne che entravano a far parte della schiera delle prostitute avevano poche possibilità di affrancarsi da un mestiere che spesso era fonte di malattie veneree e quindi di una minore aspettativa di vita.
Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale l’opinione pubblica era in buona parte favorevole alla prostituzione legalizzata, sia per ragioni di igiene pubblica, sia per la volontà di porre un divario con le ragazze destinate a diventare spose e madri e per garantire alla popolazione maschile una valvola di sfogo per i propri istinti sessuali.
Lina Merlin
Una prima versione del suo disegno di legge in materia di abolizione delle case chiuse in Italia, Lina Merlin lo aveva presentato nell’agosto del 1948 (anno in cui si calcola fossero attivi oltre settecento casini, con tremila donne registrate, che risulteranno ridotte a circa duemilacinquecento al momento dell’entrata in vigore della legge).
La legge italiana in vigore fino ad allora prevedeva che venissero periodicamente messi in atto controlli sanitari sulle prostitute, anche se in realtà i controlli erano sporadici e soggetti a pressioni di ogni genere da parte dei tenutari, specialmente al fine di impedire di vedersi ritirata la licenza per la gestione dell’attività.
Con il parere contrario dei monarchici e missini, il progetto divenne legge dopo un lunghissimo iter parlamentare il 20 febbraio 1958: veniva abolita la regolamentazione statale della prostituzione e si disponevano sanzioni nei confronti dello sfruttamento della prostituzione.
Sei mesi dopo la pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana – avvenuta sul numero 55 del 4 marzo – alla mezzanotte del 20 settembre di quell’anno, vennero chiusi oltre cinquecentosessanta postriboli su tutto il territorio nazionale. Molti di questi luoghi furono riconvertiti in enti di patronato per l’accoglienza e il ricovero delle ex-prostitute.
La tenacia di Lina Merlin nel portare avanti, fin dal momento della sua elezione, la propria lotta al lenocinio (favoreggiamento) inteso come sfruttamento di prostitute (e, di fatto, quindi decretare l’illegalizzazione della prostituzione) portò all’approvazione dell’omonima e ampiamente discussa legge.
Il suo primo atto parlamentare era stato quello di depositare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l’uso statale di riscuotere la tassa di esercizio. Un incentivo alla sua azione legislativa venne dall’adesione dell’Italia all’ONU. In virtù di questo evento, il governo dovette sottoscrivere diverse convenzioni internazionali tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (del 1948) che, tra l’altro, faceva obbligo agli Stati firmatari di porre in atto “la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione”.
Il PSI di allora intendeva, come deriva della ratifica di questi trattati, abolire le case di tolleranza gestite dallo Stato. Tuttavia, l’allora ministro degli Interni Mario Scelba aveva smesso di rilasciare licenze di polizia per l’apertura di nuove case già dal 1948.
La proposta di legge presentata dalla Merlin fu l’unica al riguardo. Merlin ribadì nel dibattito parlamentare come l’articolo 3 della Costituzione italiana sancisse l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e l’articolo 32 annoverasse la salute come fondamentale diritto dell’individuo; veniva citato inoltre il secondo comma dell’articolo 41 che stabilisce come un’attività economica non possa essere svolta in modo da arrecare danno alla dignità umana.
A detta della senatrice, le leggi che fino ad allora avevano regolamentato la prostituzione potevano e dovevano essere abolite, senza che a esse venisse sostituito alcun controllo o permesso di esercitarla in luogo pubblico.
Occorsero nove anni perché la sua proposta di legge percorresse l’intero iter legislativo. Nonostante avesse dalla propria parte una maggioranza di consensi, la legge incontrò ostacoli di diverso genere durante il dibattito nelle aule parlamentari, dovendo essere ripresentata allo scadere di ogni legislatura e ricominciare i dibattiti tanto in aula quanto in commissione.
La legge prescriveva anche la costituzione del primo corpo di Polizia femminile, che da allora in poi si sarebbe occupata della prevenzione e della repressione dei reati contro il buon costume e della lotta alla delinquenza minorile.
L’avvenimento, che segnò una svolta nel costume e nella cultura dell’Italia moderna, venne visto da alcuni come una svolta positiva, da altri col timore di alcune conseguenze quali gravi epidemie di malattie veneree e il dilagare delle prostitute nelle strade delle città, cosa che in effetti avvenne. La legge n. 75/1958 punisce formalmente sia lo sfruttamento sia il favoreggiamento della prostituzione: infatti l’art. 3, n. 8), della l. 75/1958 punisce “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.
L’addio alle case chiuse
Pur essendo l’argomento per sua natura scabroso, e perciò improponibile sui pudibondi mezzi di informazione dell’Italia degli anni cinquanta, nel Parlamento e nella società si creò una spaccatura trasversale tra coloro che sostenevano l’opinione della Merlin, tra cui molti esponenti di area cattolica, e molti altri che invece opposero un atteggiamento di rifiuto totale e categorico, inclusi diversi suoi compagni di partito, come il medico socialista Gaetano Pieraccini, che disse, tra l’altro che “per evitare la prostituzione, dovremmo essere costruiti come gli animali inferiori, ad esempio il corallo, che è asessuale e non ha il sistema nervoso” o Eugenio Dugoni, che ebbe scontri verbali durissimi con la Merlin.
Lo scontro tra queste due opposte tendenze raggiunse comunque i banchi delle librerie quando Merlin, insieme alla giornalista Carla Voltolina, moglie del deputato socialista e futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, pubblicò nel 1955 un libro intitolato “Lettere dalle case chiuse”, nel quale – attraverso la prosa ingenua e spesso sgrammaticata delle lettere indirizzate alla Merlin dalle stesse sfortunate vittime la realtà dei bordelli italiani – il fenomeno emergeva in tutto il suo squallore.
Sul fronte opposto il giornalista Indro Montanelli si batté pervicacemente contro quella che ormai veniva già chiamata – e si sarebbe da allora chiamata – la legge Merlin. Nel 1956 diede alle stampe un polemico libello intitolato “Addio, Wanda!”, nel quale scriveva tra l’altro:
« … in Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia… »
L’ambiente dei casini è stato trattato anche dallo scrittore Giancarlo Fusco nella sua raccolta di racconti Quando l’Italia tollerava.
Critiche
L’ostilità verso la Merlin dei tenutari di case di tolleranza, che si erano riuniti in un’associazione di categoria denominata APCA (Associazione Proprietari Case Autorizzate), e di tutti coloro che si opponevano alla sua proposta di legge, giunse al punto di costringerla alla semi-clandestinità, dopo che ebbe ricevuto intimidazioni e minacce di morte.
Dagli anni ottanta nel dibattito politico italiano hanno preso corpo numerose richieste per l’abrogazione – in tutto o in parte – della Legge Merlin, giudicata non più al passo con i tempi. La legge è ritenuta da più detrattori non idonea a gestire il fenomeno della prostituzione in Italia che, di fatto, rimane una realtà presente e costante. In Italia, infatti, non è considerato reato la vendita del proprio corpo, mentre lo è lo sfruttamento del corpo altrui anche se in ambiente organizzato. Ciò ha permesso il proseguire, di fatto, della mercificazione corporale nelle strade oltre che nelle case, ma nella clandestinità.
Inoltre, prima dell’entrata in vigore della legge la prostituzione nelle strade era molto poco diffusa, mentre dopo l’entrata in vigore è aumentata notevolmente. Negli anni novanta, soprattutto, si è sviluppato il fenomeno della prostituzione legata all’immigrazione clandestina, esploso poi negli ultimi anni: le prostitute in strada sono nella quasi totalità straniere. Due le etnie più rappresentate: nigeriane da una parte ed europee dell’Est dall’altra.
Il traffico di donne, talvolta anche minorenni, e i lauti guadagni del loro sfruttamento, è passato sotto il controllo delle mafie italiane e dei loro Paesi d’origine, sempre più presenti queste ultime sul territorio italiano. Queste nuove schiave, legate al traffico di esseri umani, sono oggi, di fatto, un problema irrisolto che ripropone con urgenza il ripensamento di tutte le leggi in questo campo, a cominciare dalla stessa legge Merlin.
Il dibattito politico sul tema è però risultato sterile dal punto di vista dei risultati, dato che, attualmente (2012), la normativa in materia è la stessa del 1958, nonostante le numerose proposte di modifica presentate dai politici dei vari schieramenti. La prostituzione genera in Italia un notevole indotto (50000-70000 prostitute coinvolte, 9 milioni di clienti, 19-25 miliardi di euro il giro d’affari stimato) sottratto all’imposizione fiscale.
La allora prostituzione in Italia si puó fare?
Si può fare! lo prevede una sentenza della Cassazione che ha equiparato la professione più antica del mondo — e i relativi incassi — a qualsiasi altra attività lavorativa autonoma. E lo hanno stabilito anche moltissime sentenze delle commissioni tributarie provinciali e regionali contro i ricorsi delle prostitute. L’Agenzia delle Entrate però non spinge su questo versante perché la prostituta da strada è nel 99% nullatenente e non vi è nulla in suo possesso che sia “fiscalmente aggredibile”. Le prostitute “aggredibili” sono quelle ad uno scalino più alto. Il sistema italiano è una specie di redditometro: confronto tra reddito dichiarato e tenore di vita. Se l’Agenzia ritiene di trovarsi di fronte ad una prostituta professionista  si attribuisce una partita Iva d’ufficio e si calcola il 21% a titolo Iva oltre all’Irap e alle imposte sui redditi. Se la prostituta è occasionale il reddito viene determinato in base al possesso dei beni e l’Agenzia chiede l’importo calcolato.
Tutto bene dunque? Per niente. Lo Stato italiano fa il biscazziere con lotterie e gratta e vinci, mantiene il monopolio sui tabacchi, il tutto senza troppi problemi etico-morali. Di fronte alla prostituzione la strada maestra invece non viene seguita. E la strada maestra è ovviamente quella di legalizzare la prostituzione, organizzarla e, perché no, farci anche uno studio di settore. Contemporaneamente prevedere pene severe e applicate contro la prostituzione non registrata. Si fa in Germania con ottimi risultati: basta imitare il modello. Ma siamo in Italia e una soluzione del genere farebbe venire il mal di pancia al Vaticano, che ha già i suoi problemi a pagare le tasse sul suo patrimonio immobiliare.
Il governo Monti – supposto tecnico – nominalmente svincolato dai partiti potrebbe farlo? Certamente, ma, con tutta evidenza, meglio tassare gli operai che le prostitute. Meglio il signor Rossi pensionato che la signorina Ruby Rubacuori.

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