dicembre 27, 2016

REGOLAMENTARE LA PROSTITUZIONE?

Da un lato, un crescente aumento di prostitute straniere, spesso illegali, costrette ad accettare condizioni di lavoro dannose per la loro e per la salute altrui; dall’altro una crescente presenza della criminalità organizzata nella gestione del business della prostituzione.

Da queste considerazioni si deve partire, dalla consapevolezza delle molteplici facce che oggi assume la prostituzione: da quella dell’emarginazione di persone tossicodipendenti, a quella coatta di cui sono vittime prevalentemente le donne straniere, alcune anche minorenni, alla prostituzione volontaria dei grandi alberghi e locali di divertimento. In mezzo vi è un’ampia fascia di situazioni che oscillano dalla costrizione alla libera scelta, dalla prostituzione nelle case alla prostituzione di strada, dalla prostituzione sicura e protetta alla prostituzione che mette a rischio salute e incolumità, dalla prostituzione femminile alla prostituzione maschile o di transessuali.

Sia la legge, sia il codice penale fingono di ignorare giuridicamente la prostituzione, ma di fatto ne consentono l’esistenza, determinando effetti in larga misura opposti a quelli che la stessa legge Merlin (1958) si proponeva e consentono l’esercizio della prostituzione in regime di apparente clandestinità, che però è divenuta di evidente aggressività, al punto da creare anche gravi problemi di ordine pubblico in certe aree urbane o extra-urbane.

Il fenomeno della prostituzione ora è molto cambiato e ha assunto i caratteri della tratta e dello sfruttamento di esseri umani, le donne coinvolte sono soprattutto extracomunitarie che arrivano in Italia con l’illusione di un lavoro e si ritrovano schiave.

Una regolamentazione in tal senso è necessaria perché non regolamentare o peggio, proibire, produrrebbe solo una sostanziale indifferenziazione tra libere scelte di autodeterminazione e prostituzione coatta, sfruttata e gestita dalle organizzazioni criminali di tutto il mondo che nel nostro Paese gestiscono la tratta delle donne, soprattutto mi-nori, sfruttandole, soggiogandole, sottoponendole a violenze indicibili attraverso l’impiego della minaccia. Scegliere di non af-frontare questo problema significherebbe solo favorire indirettamente la malavita e sarebbe anche un indirizzo contrario rispetto alla strada indicata dall’Unione europea, considerando che il Parlamento europeo, nel mese di maggio 2013, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, ha approvato una risoluzione sulla lotta al crimine organizzato.

Per quanto riguarda i clienti si va da persone sole, che trovano nella prostituta un punto di appoggio, a persone che espri-mono così il loro disagio di relazionarsi con altri, a persone che, invece, trovano nella prostituzione il modo di vivere più liberamente la propria sessualità.

Nella storia sociale della prostituzione si sono succeduti e intrecciati quattro modi di regolarla basati su altrettanti modelli: quello proibizionista, quello regolamentarista, quello abolizionista e quello neo-regolamentarista.

A) Il sistema proibizionista.

 Esso consiste nel vietare la prostituzione, sia per ragioni di tutela della morale pubblica, sia per ragioni di prospettiva ideale, volta all’eliminazione del sesso a pagamento ritenuto lesivo della qualità dei rapporti umani e della dignità della persona che si prostituisce, declinata storicamente al femminile. È il caso dei regimi una volta vigenti negli ex-Paesi comunisti e attualmente in alcuni Stati degli Stati Uniti d’America, nonché della recente scelta operata dalla Svezia che ha messo al centro la tutela della dignità femminile e la salvaguardia del corpo femminile dalla violenza maschile esercitata attraverso il denaro.

Tale sistema introduce infatti, la punizione del cliente attribuendo così allo Stato la funzione eticopedagogica di sanzionare un comportamento sessuale maschile. È questa una posizione che rappresenta una novità, poiché storicamente il proibizionismo ha sempre sancito il comportamento della prostituta, in quanto comportamento sessuale femminile fuori del matrimonio.

B) Il sistema regolamentarista.

È il sistema alternativo alla criminalizzazione. Tuttavia questa definizione è estremamente ampia e va dalla «statalizzazione dei bordelli» alla regolamentazione giuridica ed economica da parte dello Stato dell’esercizio della prostituzione come avviene oggi in Olanda. La legalizzazione spesso include l’imposizione di tasse e di restrizioni per l’esercizio della prostituzione in luoghi e in zone particolari. In molti sistemi che consentono l’esercizio della prostituzione le leggi in vigore regolamentano anche la vita delle prostitute prescrivendo controlli sanitari e luoghi di residenza. Era il caso dell’Italia prima della legge Merlin. Nei sistemi regolamentaristi classici è sempre previsto il controllo sanitario obbligatorio della persona che si prostituisce come misura, rivelatasi poi puntualmente inefficace, di contenimento delle malattie veneree, in particolare della sifilide.

C) Il sistema abolizionista.

Il fine ultimo di tale sistema è l’abolizione della prostituzione come attività che sfrutta e mortifica la dignità della persona che si prostituisce. Storicamente il sistema abolizionista non consente allo Stato di gestire direttamente i comportamenti relativi all’esercizio della prostituzione in quanto, pur abolendo la disciplina legale delle case di tolleranza, non arriva tuttavia alla proibizione di tali comportamenti.

D) Il sistema neoregolamentarista.

 Questo sistema comporta la rimozione di qualunque legge che penalizzi l’attività sessuale consensuale tra adulti in un contesto commerciale. La Commissione delle donne del Parlamento europeo già nel 1990 chiedeva agli Stati membri di decriminalizzare la prostituzione a tutela della salute e della sicurezza delle prostitute, sottolineando che la condizione di semiillegalità nella quale generalmente operano incoraggia gli abusi come la prostituzione per costrizione, in condizioni di lavoro degradanti, i maltrattamenti e altri delitti. I movimenti per i diritti delle prostitute chiedono la decriminalizzazione di qualunque aspetto della prostituzione che interferisce con le loro libertà di movimento e di associazione. Tali movimenti considerano, inoltre, che tutte le leggi contro lo sfruttamento della prostituzione danneggiano i familiari conviventi delle donne che si prostituiscono, e che queste leggi impediscono alle prostitute di organizzarsi e lavorare insieme per proteggersi reciprocamente.

Un argomento così difficile e drammatico non può certo rimanere confinato a toni e argomenti da bar dello sport! Va affrontato seriamente nelle Istituzioni chiamate a risolvere questo problema. Tenendo presente quale è il vero problema della moderna prostituzione: la riduzione in schiavitù o nelle tante forme di sfruttamento.

È da dire che la prostituzione in sé, come mercificazione del proprio corpo e della propria sessualità, e per i fattori (economici, oltre che di natura sociale, culturale e psicologica) che la determinano, costituisce una limitazione al pieno ed equilibrato sviluppo della persona. Perciò una legislazione sulla prostituzione deve muovere dall’articolo 3 della Costitu-zione, che obbliga a favorire tutti gli interventi per rimuovere gli ostacoli economici e sociali, che condizionano, di fatto, la libera e responsabile autodeterminazione della persona anche nella sfera della sua sessualità.

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