articolo tratto da: Quotidiano sanità
13 SET – Gentile direttore, come Scuola di Specializzazione di Medicina dello Sport dell’Università di Firenze e Agenzia di Medicina dello Sport e dell’Esercizio AOUC , ci sentiamo particolarmente perplessi dal documento del Dottor Carlo Ramponi del Gruppo di Interesse Specifico dell’Associazione Italiana Fisioterapisti e pubblicato su QS con il titolo “Lo sport è libertà: non medicalizziamolo! “. E’ quindi un dovere clinico medico oltre che scientifico puntualizzare e chiarire alcuni aspetti fondamentali e alcuni passaggi del documento che portano, in chi lo legge senza alcuna conoscenza specifica della materia, a credere a “verità” erronee e fuorvianti . Intanto bisogna fare una distinzione fra Sport ed esercizio o attività fisica nelle sue molteplici declinazioni L’utilizzo dell’esercizio o attività fisica regolare, individualizzata nella sua dose giornaliera in termini di intensità durata e frequenza e quindi usata come terapia in aggiunta alla terapia farmacologica già in atto o anche da sola nell’ambito della malattie cronico degenerative non trasmissibili, è un approccio di recente acquisizione e largamente usato dalla classe medica e validato dalla letteratura internazionale e mondiale che ha riconosciuto nell’ esercizio fisico stesso la capacità antinfiammatoria sui tessuti e pertanto terapeutica per molti soggetti, tra i quali quelli affetti da patologie neoplastiche o nel post trapianto Ci rendiamo conto che tali conoscenze approfondite, che scaturiscono da un confronto adeguato di figure professionali dedicate – come il medico di medicina dello sport, il fisioterapista ed il laureato in scienze motorie – con il mondo scientifico internazionale, non possono in ogni caso far parte del bagaglio culturale di coloro che, benché inseriti in ambiente sanitario, in quanto professioni sanitarie, sono quasi interamente volte alla cura di tipo riabilitativa del paziente. Si trovano quindi giustificazioni al fatto, che si possa, da parte di alcuni, scambiare facilmente per pura medicalizzazione un’efficacia terapeutica che invece approfonda le proprie radici nel contesto della biologia molecolare, della immunologia, in sostanza di materie di ordine medico. Intorno a questo settore specifico della Medicina dello Sport dedicato all’Esercizio fisico come terapia, quindi proprio come un farmaco, e che, oggi si chiama “Prescrizione Esercizio Fisico” ( PEF), sono recentemente fioriti molti gruppi di studio, società nazionali ed internazionali, tra i quali alcuni di molto prestigio come Exercise is Medicine collegato all’ACSM, all’interno dei quali vengono stilate linee guida e comportamenti di questa nuova materia che sta prendendo sempre più campo e che quindi supera di gran lunga il concetto di riabilitazione, benché con questa si possa integrare. Certo è che se per “medicalizzazione” si intende invece il fatto che la PEF è un atto medico allora questo ha una veridicità assoluta legata al fatto che è proprio il medico di Medicina dello Sport, il quale coadiuvato da altre figure e fra queste i fisioterapisti ed i laureati in Scienze motorie, stabilisce la necessità e la fattibilità di una PEF su un determinato paziente. Si richiama l’attenzione quindi, almeno su “alcuni concetti base“ relativi ad esempio allo sport, profondamente diverso dall’esrcizio e attività fisica svolta con fini terapeutici e che ancora di più diverso dalla attività di tipo ludico motorio, ricreazionale, ecc. Appare pertanto riduttivo parlare di sport da una parte ed attività ludica dall’altra quando a tutt’ oggi tutta la letteratura ci parla di molti altri livelli e gradi di esercizio ed attività fisica che emergono solo a seguito di indagini complesse che partono dall’ analisi dello stile di vita e si concretizzano poi in una vera e propria ricetta per il singolo. Confondere o ignorare tali aspetti non significa, alla luce delle nuove acquisizioni, ignorare semplici sfumature, ma trattare con superficialità l’evoluzione recente della medicina dello sport e soprattutto gli strumenti specifici che questa usa per valutarli. La riflessione che sorge immediata è quindi pensare di affidare sempre questo tipo di indagine solo a chi ne sia veramente competente, si sia confrontato con gli ambienti esterni al proprio paese, e soprattutto dimostri nel tempo di stare al passo con tutte quelle modifiche ed aggiornamenti del caso. In questo contesto anche l’aspetto divulgativo dovrebbe seguire lo stesso iter. Non ultimo la PEF è attualmente in linea con le richieste e le esigenze del piano nazionale sanitario che fa sempre più della prevenzione un vessillo del nostro paese, il quale ha sempre promosso l’attività fisica tra la popolazione generale, ed adesso conta sugli effetti positivi a lungo termine di questa con risvolti anche in senso economico. Giorgio Galanti e Laura Stefani Medicina dello Sport, Università di Firenze