ottobre 11, 2012

“PALESTRE SICURE” A VERONA

E’ iniziata nel Comune di Verona la procedura per arrivare all’approvazione del progetto “Palestre Sicure”.

Il progetto “Palestre Sicure” è compreso nel Piano Nazionale del Ministero della Salute e nasce dall’esigenza di prevenire e contrastare tra i frequentatori delle palestre (circa 4 milioni in Italia) l’utilizzazione e la diffusione delle sostante dopanti, promuovendo un modello di gestione qualitativa con lo scopo di migliorare lo stato di salute ed il benessere dei Cittadini.

In generale il progetto si propone di valorizzare il ruolo delle palestre nella promozione di un’attività che tuteli la sicurezza degli utenti e che miri alla promozione di uno stile di vita sano, esso sarà definito nel pieno rispetto delle norme specifiche già emanate da alcune Regioni e Comuni (Regione Emilia Romagna, Comune di Modena, Comune di Bologna) e secondo le linee guida del Ministero della Salute.

A Verona saranno coinvolti nella stesura del Progetto, attraverso un tavolo tecnico, il Comune di Verona, l’ULS 20, l’Università di Scienze Motorie, i rappresentanti delle categorie professionali e le palestre.

L’adesione al progetto sarà su base volontaria e prevederà l’adesione ad un codice etico che conterrà principi generali ed impegni specifici e che comporterà di conseguenza ispezioni e controlli da parte dell’ULS per verifcare l’adeguamento al progetto delle strutture.

Il riconoscimento di “Palestra Sicura” darà diritto alla collaborazione con il Comune di Verona e l’Azienda Sanitaria nell’attuazione di interventi di informazione e prevenzione, in tal modo si paleserebbe e si concretizzerebbe l’impegno concreto del Servizio Sanitario nella tutela del diritto dei cittadini a svolgere una pratica motoria con rischio limitato ed utile a promuovere un corretto stile di vita, che costituirebbe inoltre un esempio di allenza di reciproco vantaggio tra Pubbliche Istituzioni, Sistema Sanitario, Università e mondo imprenditoriale e associativo.

Il vantaggio per la Comunità locale e le sue istituzioni risiederebbe nella promozione di stili di vita favorevoli alla salute (corrette abitudini alimentari, corretto uso dei farmaci, riduzione dei rischi legati al consumo di alcol e altre sostanze psicoattive) e nella qualità e sicurezza dell’attività fisica proposta ai clienti, in particolare se portatori di patologie croniche non trasmissibili in condizioni cliniche stabili.

Lo svolgimento dell’attività fisica prescritta dal medico di medicina generale e dal medico sportivo, dovrà avvenire soltanto nelle palestre in possesso della qualifica di “palestra sicura”.

ottobre 11, 2012

SPORT E TRAPIANTI

È ampiamente dimostrato che i soggetti che sono stati sottoposti a trapianto di organo possono recuperare una buona qualità di vita. Praticare un’attività fisica e sportiva aiuta il trapiantato a riappropriarsi della funzionalità del proprio corpo e della proprio vita. Per molti trapiantati, infatti, l’attività sportiva rappresenta un percorso di recupero e benessere che spesso diventa lo strumento migliore anche per testimoniare l’efficacia del trapianto. Lo sport e più in generale l’attività fisica sono da tempo una terapia riconosciuta anche dal mondo medico nella prevenzione dell’insorgenza di alcune patologie cordiovascolari o per la cura di alcune disfunzioni metaboliche. I trapiantati, a causa della terapia immunosoppressiva a cui si devono sottoporre, presentano un metabolismo lipidico alterato, un aumento della sensibilità all’insulina, un aumento dei valori pressori. Anche per loro praticare regolarmente attività fisica aiuta a tenere sotto controllo questi valori. Al fine di incentivare la ricerca sui benefici dell’attività sportiva per i trapiantati, il Centro Nazionale Trapianti negli ultimi anni, ha intrapreso un percorso, promuovendo iniziative e appuntamenti sul tema “Sport e Trapianti”.
PROTOCOLLO DI RICERCA “TRAPIANTO…E ADESSO SPORT” Il protocollo è il primo studio prospettico in proposito al mondo, che prevede due fasi. Una prima fase, a carico del Centro Trapianto di riferimento, prevede di selezione dei pazienti e di identificare candidati portatori di trapianto di organo solido  in fase di stabilità clinica e strumentale da potere avviare ad un programma di attività fisica. Una seconda fase di trattamento non farmacologico articolata su 12 mesi di attività fisica presso palestre abilitate ed individuate dai Centri di  Medicina dello Sport territoriali, previamente istruiti. L’originalità di questo progetto è quella di affiancare l’esercizio fisico, il “nuovo farmaco” e “basso costo”, alla consueta terapia farmacologica dei soggetti sottoposti a trapianto di organo solido, potendo sfruttare la capacità di controllo dei principali fattori di rischio come il diabete, l’ipercolesterolemia, l’obesità e la possibilità di poter contrastare gli effetti aterogeni dei farmaci immunosoppressori cortisonici.
Gli esperti coinvolti Molteplici sono le figure professionali che, formate attraverso un corso teorico-pratico, collaborano alla realizzazione del progetto: il trapiantologo che individuare i soggetti ai quali possa essere prescritto un programma di esercizio fisico; il medico di Medicina dello Sport, che sottopone il soggetto ad un protocollo valutativo al fine di poter descrivere le caratteristiche organico-funzionali del paziente; il laureato in scienze motorie che segue passo dopo passo il trapiantato e “somministra” la “dose” di esercizio fisico prescritta in palestra. I partecipanti allo studio La popolazione dello studio è costituita da 120 pazienti di entrambi i sessi sottoposti a trapianto di organo solido (cuore, fegato, rene) e in condizione di stabilità clinica. L’intero campione è stato suddiviso in due coorti da 60 pazienti ciascuna (indicativamente 20 pazienti per tipologia di trapianto). Alla prima coorte (coorte A) è stato prescritto e somministrato un protocollo di esercizio fisico 3 volte alla settimana per 12 mesi, mentre alla seconda coorte (coorte B) non è stato sottoposto nessun protocollo di esercizio ma è stata consigliata la pratica di attività fisica a domicilio. Ciascun paziente è stato poi inviato al centro di Medicina dello Sport più vicino al luogo di residenza dove sono state svolte le valutazioni. Entrambe le coorti sono state sottoposte a tre sessioni di valutazione clinica e funzionale: al tempo 0, a metà dello studio (6 mesi) e al termine dello studio (12 mesi). Ciascuna sessione di valutazione presso la Medicina dello Sport ha previsto: visita medica; esame antropometrico; test cardiopolmonare al cicloergometro; hangrip test; test di Bosco per la valutazione della forza esplosiva degli arti inferiori; test di stima della forza massima del quadricipite, del tricipite surale, del deltoide, del bicipite brachiale, del tricipite brachiale; test di flessibilità2.
I dati I dati preliminari e i risultati dei monitoraggi effettuati su pazienti trapiantati, indicano e confermano la tesi alla base dello studio: l’attività fisica prescritta da medici specialisti e somministrata da personale specializzato, è in grado di migliorare sia i parametri biologici sia la condizione fisica del trapiantato. È stata registrata, infatti, una riduzione del rischio cardiovascolare post-trapianto e un miglioramento della sopravvivenza dell’organo. Si è registrato anche un aumento del carico di lavoro e del massimo consumo di ossigeno con un miglioramento delle soglie oltre che una riduzione della massa grassa. In particolare i dati dimostrano che l’attività fisica e le performance ottenute aumentano nei trapiantati la percezione della qualità del loro stato di salute innestando un circolo virtuoso psico-fisico che aiuta il ritorno ad una vita piena. Le regioni coinvolte In Emilia Romagna e Veneto sono le due regioni in cui il progetto “Trapianto…e adesso Sport” è in corso. Ma ad oggi, anche le Regioni Toscana, Piemonte, Abruzzo-Molise, P.A. Bolzano e Sicilia hanno aderito a questo studio scientifico. La volontà del CNT è di estendere lo studio a tutte le regioni d’Italia, puntando ad includere circa 120 trapiantati per ciascuna di esse. Poter allargare il campione di studio ad un numero sempre maggiore di pazienti, consentirà di ottenere dati sempre più significativi e rilevanti. Gli obiettivi futuri La prospettiva futura è di definire un modello di assistenza sanitaria post-trapianto applicabile in tutto il Paese, in cui si giungerà a “prescrivere” l’attività fisica ai trapiantati, per garantire loro recupero e buona qualità della vita.
PROTOCOLLO D’INTESA “Sport e Trapianti… un’intesa perfetta” è il Protocollo d’Intesa siglato tra il Centro Nazionale Trapianti e Five Stars League, un consorzio che regola la disciplina e lo svolgimento di eventi di ciclismo amatoriale quali la Maratona Dles Dolomites, la Novecolli, la GF Sportful, la GF Felice Gimondi e la Pinarello Cycling Marathon. L’obiettivo della collaborazione tra il CNT e la FSL è duplice: accrescere la cultura della donazione attraverso la partecipazione di pazienti trapiantati d’organo alle granfondo ciclistiche e incentivare l’adozione di stili di vita sani tra i trapianti. Il protocollo d’intesa rafforza l’impegno di CNT e FSL nel promuovere l’attività sportiva come strumento di tutela della salute e sottolinea l’importanza dell’attività di comunicazione per informare e sensibilizzare sul tema della donazione e trapianto di organi.

ottobre 11, 2012

APPROVATI NUOVI EMENDAMENTI AL DECRETO BALDUZZI

Tutele per sportivi fin dai 6 anni Anche i piccoli che si avvicinano allo sport saranno più tutelati grazie a visite mediche e controlli ad hoc. Torna la dizione di “certificazione specialistica medica in strutture pubbliche o private”. Per salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un’attività sportiva non agonistica o amatoriale è previsto che la Salute, con proprio decreto, adottato di concerto con il ministro delegato al Turismo e allo sport, disponga garanzie sanitarie mediante l’obbligo di idonea “certificazione specialistica medica in strutture pubbliche o private”, da eseguire anche sui giovanissimi. Il dicastero disporrà inoltre le linee guida per effettuare controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l’impiego, da parte di società sportive “sia professionistiche che dilettantistiche”, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita.

ottobre 10, 2012

TAVOLO TECNICO PER IL PROGETTO “PALESTRE SICURE” NEL COMUNE DI VERONA

L’esito della V^ COMMISSIONE del COMUNE DI VERONA ha sancito che verrà istituito “a breve” (speriamo)  un TAVOLO TECNICO per definire con precisione il progetto “Palestre Sicure” nel Comune di Verona. Il tavolo prevederà la partecipazione del dipartimento di prevenzione  dell’ULS 20, della facoltà di Scienze Motorie (anche se ormai la facoltà di scienze motorie non esiste più a Verona, ma è stata sostituita dal corso di laurea in scienze motorie, almeno così credo sia definito) dal Consigliere Comunale Giorgio Pasetto, dal Presidente Provinciale dei dottori in scienze motorie e da qualche dirigente incaricato dal Comune di Verona.

Forza Scienze Motorie !

ottobre 4, 2012

PROGETTO: “PALESTRA Sicura”

Oggi alle ore 18.30 presenterò in Consiglio Comunale a Verona l’ordine del giorno n.47 del 13/07/12.

Oggetto: Promozione dell’attività motoria qualificata.

                            Il Consiglio Comunale 

Premesso che l’attività motoria rappresenta uno strumento fondamentale per la prevenzione di tutte le patologie croniche e degenerative;

Considerato che la Regione Emilia Romagna ha recentemente approvato un progetto denominato: “palestre sicure” ;

Preso atto che all’interno del territorio del Comune di Verona vi sono un elevato numero di palestre;

Tenuto conto che le facoltà di scienze motorie hanno la funzione di formare professionisti dell’esercizio fisico;

INVITA

La Giunta Comunale a promuovere nel Comune di Verona il progetto “palestre sicure” e a farsi promotrice nei confronti della Regione affinche il progetto sia esteso a tutto il Veneto.

In sintesi il progetto prevede la sottoscrizione di un Codice Etico che contenga alcuni principi generali ed alcuni impegni specifici caratterizzanti la missione dei soggetti che realizzano attività motorie, in collaborazione con gli Enti Locali e le Aziende Sanitarie. L’adesione al Codice Etico sarebbe, ovviamente, volontaria da parte dei gestori delle palestre che siano in possesso di:

-          requisiti strutturali;

-          presenza  di  laureati in Scienze Motorie e/o diplomati ISEF;

-          dotazioni igienico-sanitari previste dalle normative.

L’accertamento dei requisiti sarebbe di competenza del Comune e delle ASL competenti territorialmente. L’adesione comporterebbe l’accettazione di ispezioni e controlli senza preavviso da parte di Enti Locali e Aziende Sanitarie per verificare il rispetto dei requisiti e degli impegni sottoscritti, tra questi:

-          l’obbligo di partecipazione alle attività di formazione ed aggiornamento;

-          l’obbligo di esporre al pubblico il “Codice Etico” ed il materiale informativo condiviso.

L’adesione al “Codice Etico” dovrebbe dare diritto alla collaborazione con il Comune, gli Enti Locali e le Aziende Sanitarie nell’attuazione di interventi di informazione e prevenzione.

In tal modo si paleserebbe e si concretizzerebbe l’impegno concreto del Servizio Sanitario nella tutela del diritto dei cittadini a svolgere una pratica sportiva e motoria priva di rischi ed utile per promuovere un corretto stile di vita e costituirebbe un esempio di alleanza di reciproco vantaggio tra Pubbliche Istituzioni, Sistema Sanitario, Università e mondo imprenditoriale/associativo.

Il vantaggio perla Comunità Localee le sue istituzioni risiederebbe nella promozione di stili di vita favorevoli alla salute (corrette abitudini alimentari, corretto uso dei farmaci, riduzione dei rischi legati al consumo di alcol ed altre sostanze psicoattive) e nella qualità e sicurezza dell’attività fisica proposta agli utenti, in particolare se portatori di patologie croniche non trasmissibili in condizioni cliniche stabili.

Il vantaggio per i gestori delle palestre sarà dato dalla visibilità tra i cittadini, possibili utenti dei centri sportivi, e dal sostegno degli Enti locali e delle ASL.

Le palestre che aderirebbero al “Codice Etico” acquisirebbero il riconoscimento di “Palestra Sicura” oppure “Palestra InSalute” oppure “Palestra di Qualità”.

Lo svolgimento dell’attività fisica prescritta anche dal Servizio Sanitario Locale dovrebbe avvenire soltanto nelle palestre e nelle strutture sportive in possesso del riconoscimento di “Palestra Sicura” ed in cui operino laureati in Scienze Motorie e/o diplomati ISEF,  appositamente aggiornati dalle Università in collaborazione con l’ Associazione di Categoria (Associazione Italiana Dottori in Scienze Motorie – www.dmsa.it) al fine di  somministrare un’attività fisica personalizzata e adattata.

 

CONSIDERAZIONI :

E’ di importanza fondamentale riconoscere le competenze professionali. Banalizzare l’attività fisica non và bene. Esistono persone competenti (laureati in scienze motorie) e dobbiamo usare queste competenze. Il Dottore in Scienze Motorie ha la funzione di “decodificare” le indicazioni della medicina.

2) Individuiamo 2 livelli di competenza:

A) LIVELLO BASE PER LA SALUTE: Per tutti i laureati triennali che hanno la necessaria competenza tecnica, relazionale ed educativa (principi di comportamento). Tali professionisti forniscono anche informazioni relative all’integrazione alimentare, alla prevenzione del doping, all’eccesso di agonismo e all’eccessiva selezione precoce;

B) LIVELLO SPECIFICO: Orientato a tutte le persone che hanno necessità specifiche per la salute in base ad una diagnosi medica precisa. Il medico fa una prescrizione generica, che deve essere poi tradotta dal dottore in scienze motorie magistrale in attività motoria anche in collaborazione con altre figure professionali. Tale fascia di persone è orientativamente individuata con l’acronimo “METABOCARDIO” stabili. Per gestire questa fascia di persone è necessaria a mio avviso la laurea magistrale (5 anni).

 

 

 

 

ottobre 3, 2012

LOW BACK PAIN

Clinical Decision Support and Acute Low Back Pain: Evidence-Based Order Sets

Scott E. Forseen, MDa, Amanda S. Corey, MDb

a Department of Radiology, Neuroradiology Section, Georgia Health Sciences University, Augusta, Georgia

b Department of Radiology and Imaging Sciences, Division of Neuroradiology, Emory University Hospital, Atlanta, Georgia

Low back pain is one of the most common reasons for visits to physicians in the ambulatory care setting. Estimated medical expenditures related to low back pain have increased disproportionately relative to the more modest increase in the prevalence of self-reported low back pain in the past decade. The increase in spine care expenditures has not been associated with improved patient outcomes. Evidence-based order templates presented in this article are designed to assist practitioners through the process of managing patients with acute low back pain. A logical method of choosing, developing, and implementing clinical decision support interventions is presented that is based on the best available scientific evidence. These templates may be reasonably expected to improve patient care, decrease inappropriate imaging utilization, reduce the inappropriate use of steroids and narcotics, and potentially decrease the number of inappropriate invasive procedures.

comment

Guidelines Discourage Routine Imaging for Low Back Pain

Routine diagnostic imaging for low back pain doesn’t improve outcomes and only increases complications and costs, warns a clinical guideline from the American College of Physicians in the Annals of Internal Medicine.

The authors revisit the guidelines issued by the ACP and the American Pain Society in 2007 and add evidence from a meta-analysis of six clinical trials. Here are their principal recommendations:

  • Use an initial trial of therapy rather than immediate imaging.
  • However, imaging is warranted when the patient has major risk factors for cancer, or shows severe or progressive neurologic deficits.
  • Risk factors or signs of vertebral infection or the cauda equina syndrome, although rare, also warrant more immediate imaging.

The authors state that routine imaging “cannot be cost-effective.” They conclude that “efforts to reduce use of imaging should be multifocal and address clinician behaviors, patient expectations, and financial incentives.”