Monthly Archives: settembre 2012
BICICLETTE ELETTRICHE ? NO GRAZIE !
Sono sicuramente favorevole all’auto elettrica ed ai benefici che può dare alla mobilità cittadina e alla riduzione dell’inquinamento; sono invece contrario alle biciclette elettriche e agli incentivi statali per le stesse.
La bicicletta oltre alla funzione di consentire ad una persona di spostarsi da un punto all’altro della città, ha la funzione di far fare attività fisica a chi la utilizza.
Oggi ci si muove sempre meno e la sedentarietà ci sta portando al decadimento psico-fisico.
Andando con una bicicletta “normale” stimoliamo positivamente il sistema cardio-vascolare, i tono muscolare degli arti inferiori e della colonna vertebrale; la bicicletta elettrica toglie tutti questi effetti benefici.
Oggi la tecnologia e la meccanica ci consentono di avere biciclette più leggere e con rapporti che facilitano la pedalata anche in salita e che ritengo siano già sufficientemente idonee a personalizzare lo sforzo.
Dobbiamo ricordarci che la nostra salute è strettamente legata alla quantità e qualità di attività fisica che pratichiamo.
Più movimento, più salute!
FIBROMIALGIA
Chiunque si occupi di malattie reumatiche non ha difficoltà a riconoscere che la FM è la patologia che si incontra più frequentemente, soprattutto nell’attività ambulatoriale. Ciò nonostante non ci sono dati attendibili sulla reale frequenza della FM in quanto tale malattia continua ancora oggi ad essere ampiamente sottostimata e raramente diagnosticata. Basti pensare all’ambulatorio del medico di medicina generale e a quanti pazienti ogni giorno visita in quanto lamentano uno o più di questi sintomi: dolori muscolari, cefalea, vertigini, epigastralgie, insonnia, dolori addominali, astenia, parestesie, tachicardia. Una buona parte è certamente affetta da FM senza saperlo.
I dati epidemiologicidi cui disponiamo sono relativi a valutazioni eseguite in:
- studi su popolazione sana, di cui alcuni recentissimi, che documentano una prevalenza compresa tra il 2 e il 4% (con valori notevolmente più elevati se si scorporano i dati per la sola popolazione femminile: 8-10% circa).
- studi su pazienti ricoverati in ambiente internistico che evidenziano prevalenze nell’ordine del 10%
- studi su pazienti valutati in ambiente reumatologico dove la prevalenza raggiunge il 25%
Tra gli ultimi lavori di tipo epidemiologico, due rivestono particolare interesse:
- Il primo è uno studio di popolazione, pubblicato nel 1999, che ha coinvolto 3395 abitanti della cittadina canadese di London (The London Fibromyalgia Epidemiology Study). Sono stati individuati 100 casi di FM (86 femmine e 14 maschi: rapporto F/M=3:1), con una prevalenza quindi del 3.3%. La prevalenza nel sesso femminile era pari al 4.9% per salire al 8% nella classe d’età 55-64 anni. Sono stati individuati una serie di fattori di rischio per la FM: oltre al sesso femminile, età media, livello di istruzione inferiore, reddito basso, essere divorziati. A tutt’oggi questo rimane lo studio più ampio e rigoroso che viene sempre citato.
- Il secondo è uno studio pubblicato nel 2005 che rientra in un progetto iniziato nel 2003 con uno studio a livello europeo (The Feel Study: Fibromyalgia Epidemiology European Large scale survey) per valutare la prevalenza “possibile” della FM nella popolazione generale. La metodologia utilizzata è quella delle interviste telefoniche per raggiungere il maggior numero possibile di individui: il numero dei pazienti “possibili” veniva poi corretto con un coefficiente calcolato dallo studio canadese di cui sopra (rapporto tra FM teoriche e FM confermate dalla visita reumatologica). In tale modo è stato possibile calcolare la prevalenza possibile della FM in: 1. Francia (su campione di 1000 abitanti): 4,3% della popolazione generale (6,1% delle donne e 0,5% degli uomini) 2. Portogallo (su campione di 500 abitanti): 6,1% della popolazione generale (8,8% delle donne e 0,7% degli uomini) 3. Italia (su campione di 1000 abitanti): 4,1% della popolazione generale (6,9% delle donne e 0,3% degli uomini).
Balduzzi ascolta!
Al Ministro Balduzzi chiedo di dissipare ogni dubbio sulle misure relative alla visita medica sportiva contenute nel decreto sanita’ in via di approvazione.
Come nel 1994 lo scontro sarà tra vecchi e nuovi – LUCA RICOLFI – La Stampa
È difficile che si voti a novembre, ma è praticamente certo che a novembre comincerà la bagarre. Mentre il povero Monti, come succede a fine anno a qualsiasi presidente del Consiglio, sarà alle prese con i problemi dei conti pubblici, i partiti avranno tutti la testa già rivolta alle elezioni di primavera. Ogni gesto, ogni dichiarazione, ogni parola sarà finalizzata ad attirare il maggior numero di voti possibile.A tutt’oggi, tuttavia, noi elettori siamo all’oscuro di tutto. Non sappiamo, ad esempio, quanti parlamentari dovremo eleggere. Non sappiamo se i condannati con sentenza definitivapotrannoesserecandidati oppure no. Non sappiamo con quale legge elettorale si voterà. Non sappiamo quante e quali liste saranno in campo. Anche se non sappiamo nulla, possiamo però fare qualche previsione. Io ne azzardo alcune, dalla più facile alla più difficile.Numero di parlamentari: l’auspicata riduzione non ci sarà, penso abbia ragione Arturo Parisi quando dice che i continui rinvii dell’accordo sulla legge elettorale siano stati finalizzati all’obiettivo nascosto di rendere impossibile (con la scusa che «è troppo tardi, ormai») unariformapiùorganica,cheriduca il numero di parlamentari.
Candidabilità dei condannati: sarà perfettamente possibile candidare al Parlamento un condannato con sentenza definitiva. In questo modo il nostro Parlamento potrà conservare un primato cui evidentemente tiene molto: quello di essere l’istituzione con la massima densità di soggetti condannati e rinviati a giudizio. Legge elettorale: se non sarà il porcellum (legge attuale), sarà il super-porcellum (legge attualmente in discussione), ossia l’unico sistema capace di sommare i difetti del proporzionale e i difetti del maggioritario. La legge di cui si parla da settimane, infatti, gode di tre interessanti proprietà: permette ai segretari di partito di scegliere a tavolino una frazione considerevole degli eletti, a prescindere dalle scelte degli elettori; non consente ai cittadini di sapere, la sera delle elezioni, chi le ha vinte e chi le ha perse (si torna ad accordi fatti in Parlamento, come nella prima Repubblica); distorce la rappresentanza, nel senso che, con il premio di maggioranza, conferisce al partito più grande molti più seggi di quanti ne merita in base al voto e, con la soglia di sbarramento al 5%, toglie molti seggi ai partiti più piccoli. Numero delle liste: saranno tantissime, come sempre, ma quelle «vere», ossia con ragionevoli chances di superare il 5% dei consensi, saranno solo 7. Quali liste: qui viene il bello. Secondo me lo schema delle prossime elezioni sarà un 4 + 3 + «fricioletti» (pescetti fritti, come il mio maestro Luciano Gallino chiamava i libri che una biblioteca seria non dovrebbe mai ordinare, perché costano e durano poco). Ci saranno quattro formazioni che, se non sbagliano clamorosamente strategia e se non sono cannibalizzate dalle liste di disturbo, possono aspirare a un risultato non lontano dal 20%. Due di esse, Pdl e Pd, sono vecchie ma si presenteranno con sigle più o meno rinnovate, il Pdl con un nome e un simbolo nuovi, il Pd con qualche segno che indichi l’annessione di Sel e di Vendola al super-partito della sinistra. Le altre due liste sono nuove di zecca, e sono il movimento di Grillo (Cinque Stelle) e quello nascente di Montezemolo (Italia Futura), più o meno ibridato con movimenti di ispirazione simile. Ci saranno poi tre formazioni che possono aspirare a qualcosa più del 5%, e cioè l’Udc, l’Italia dei Valori e la Lega, anch’esse più o meno riverniciate e restaurate per non sembrare troppo vecchie. E infine i fricioletti, almeno 20 liste e listarelle (alcune di nobili tradizioni, altre inventate per l’occasione), implacabilmente destinate a restare sotto il 5%, quando non sotto l’1%. Quel che è interessante, però, è il tipo di competizione politica che si prepara. Potrò sbagliare, ma a mio parere quel che sta accadendo nell’elettorato italiano è molto simile a quel che accadde venti anni fa, nel periodo di sbriciolamento non solo delle istituzioni ma anche delle strutture mentali della prima Repubblica. Fra il 1992 e il 1994 diminuì drasticamente la quota di italiani che ragionavano prevalentemente in termini di destra e sinistra, e aumentò sensibilmente la quota di quanti ragionavano in termini di vecchio e nuovo. Ci fu un momento, anzi, in cui questo gruppo risultò più numeroso del primo. Oggi sta succedendo qualcosa di molto simile. Gli elettori che andranno al voto si divideranno, innanzitutto, fra chi è ancora disposto a scegliere una forza politica tradizionale e chi invece preferisce puntare su una forza nuova. I primi, i «vecchisti», potranno comodamente ragionare in termini di destra e sinistra, scegliendo una fra le tre opzioni disponibili: Pdl, Udc, Pd, i tre partiti che hanno sostenuto il governo Monti. I secondi, i «nuovisti», dovranno invece abituarsi a ragionare in termini molto diversi, perché l’offerta politica delle due principali liste nuove è molto più polarizzata: da una parte c’è l’anticapitalismo anti-euro e antiEuropa di Grillo, dall’altra c’è il turbo-liberalismo di Italia Futura e dei gruppi ad essa vicini, come «Fermare il declino» di Oscar Giannino. Qui destra e sinistra c’entrano davvero poco, quel che conta – e divide – sono le ricette per affrontare la crisi: con meno Europa e meno ceto politico se voti Grillo, con meno tasse e meno Stato se voti Montezemolo. E dintorni. Sono due modi di porre i problemi che, in questo periodo, hanno entrambi un grande appeal. I sondaggi mostrano da almeno cinque anni che le spinte anti-partitiche e i dubbi sull’Europa sono molto radicati nell’elettorato. Ma un interessante sondaggio di Renato Mannheimer di qualche tempo fa segnalava anche un’altra e assai meno nota novità: per la prima volta da molti anni sono più gli italiani che si preoccupano dell’eccesso di tasse che quelli che si preoccupano di salvare lo Stato sociale. Insomma, se fossi il leader di una forza politica tradizionale sarei preoccupato, molto preoccupato. La forza d’urto dell’onda anti-partiti potrebbe essere assai forte, specie sotto l’ipotesi Ber-Ber: un Pd guidato da Bersani (l’usato sicuro) e un Pdl guidato da Berlusconi (lo strausato insicuro). E molto mi sorprende che, quando si parla di premio di maggioranza, se ne discuta come se potesse andare solo al Pd o al Pdl, o addirittura come se la corazzata Bersani-Vendola avesse già la vittoria in tasca. Se fossi Bersani non sottovaluterei né l’area Montezemolo né quella di Grillo, specie nella sciagurata eventualità che i partiti continuino a restare insensibili al «grido di dolore» che, da tanti anni e da tante parti d’Italia, i cittadini levano contro la politica e i suoi indistruttibili, irrottamabili, rappresentanti di sempre. |
Staying fit during middle age is associated with a decreased risk of developing chronic diseases
Staying fit during middle age is associated with a decreased risk of developing chronic diseases, such as diabetes, Alzheimer’s disease, and heart disease, during the next several years, a new study suggests.
Benjamin L. Willis, MD, MPH, from the Cooper Institute at the University of Texas Southwestern Medical Center in Dallas, and colleagues, reported the findings in an article published online August 27 in the Archives of Internal Medicine.
According to the researchers, “physical activity…likely represents an important determinant of healthy aging,” but “studies have reported inconsistent results,” and the “incremental contribution of [physical activity] to healthy aging beyond other healthy lifestyle characteristics remains unclear.”
“To our knowledge, the association between midlife fitness and healthy aging has not been reported,” they write.
“[W]e hypothesized that higher midlife fitness levels would be strongly associated with healthy aging as defined by a low burden of chronic condition…outcomes,” Dr. Willis and colleagues write.
To evaluate this issue, the authors merged data from the Cooper Center Longitudinal Study with these individuals’ Medicare claims when they reached age 65 years or older. The study included data from 18,670 healthy participants (78.9% men, with a median age of 49 years) who survived to receive Medicare coverage from January 1, 1999, to December 31, 2009.
Participants’ fitness level was measured using the Balke protocol, which assessed time taken to reach a point of not being able to continue on a treadmill. The fitness levels were classified into quintiles, with the highest level of fitness associated with a lower incidence of chronic diseases compared with the lowest quintile.
The 8 chronic conditions considered in the analysis were Alzheimer’s disease, cancer of the colon or lung, congestive heart failure, chronic kidney disease, chronic obstructive pulmonary disease, diabetes mellitus, and ischemic heart disease.
Men in the highest quintile of fitness had a chronic disease incidence of 15.6 (95% confidence interval [CI], 15.0 – 16.2) per 100 person-years compared with 28.2 (95% CI, 27.4 – 29.0) in the lowest quintile of fitness. Likewise, for women the incidence was 11.4 (95% CI, 10.5 – 12.3) vs 20.1 (95% CI, 18.7 vs 21.6) per 100 person-years for the highest and lowest fitness quintiles, respectively.
Per MET of activity (3.50 mL oxygen/kg/minute), the hazard ratio was 0.95 (95% CI, 0.94 – 0.96) for men and 0.94 (95% CI, 0.91 – 0.96) for women. This indicates about a 5% to 6% reduction in the risk for a chronic disease for every MET achieved, with a range of 5 to 6 METs across quintiles of fitness; that is, an approximate doubling of risk between the lowest and highest fitness levels.
Among the 2406 participants (12.9%) who had died, higher fitness was associated with a lower risk of developing chronic conditions relative to survival (compression hazard ratio, 0.90 [95% CI, 0.88 - 0.92] per MET). This finding indicates that a higher level of midlife fitness was associated with the delay in the development of chronic conditions, so that morbidity is delayed until nearer the end of life in fitter individuals.
The researchers note that their findings suggest that “a modest increase in fitness could translate into marked reduction of [chronic conditions] in older age. For example,” they suggest, “a 1- to 2-MET improvement in fitness resulting in promotion from the first to the second fitness quintile at age 50 years was associated with a 20% reduction in the incidence of [chronic conditions] at ages 65 and older.”
They add that “[p]revious [physical activity] intervention studies have achieved mean fitness gains of this magnitude using a 6-month program of 150 minutes per week of moderate-intensity exercise.”
In a related editorial, Diane E. Bild, MD, MPH, from the Division of Cardiovascular Sciences at the National Heart, Lung, and Blood Institute, in Bethesda, Maryland, noted that the study provides “further evidence for physical fitness as a contributor to healthy aging and the compression of morbidity.”
She notes that in addition to this observational study, the ongoing Lifestyle Interventions and Independence for Elders trial will compare a moderate-intensity physical activity program with a successful aging health education program in 1600 sedentary older persons who will be monitored for an average of 2.7 years.