settembre 23, 2012

Forse è giunto il momento di abrogare la Legge Merlin.

Legge Merlin è il nome con cui è nota la Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 1958), chiamata in questo modo in quanto la prima firmataria era la senatrice socialista Lina Merlin.
Con questa legge veniva stabilita, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge, la chiusura delle case di tolleranza, l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e l’introduzione di una serie di reati intesi a contrastare lo sfruttamento della prostituzione altrui.
 Il fenomeno della prostituzione era già diffuso ai tempi dell’Antica Roma.
In Italia la prostituzione è stata regolamentata dallo Stato fin dai tempi antichi. Nel Regno delle Due Sicilie, già nel 1432, era stata rilasciata una reale patente per l’apertura di un lupanare pubblico; e anche nella Serenissima Repubblica di Venezia esistevano numerose case di prostituzione. Case di tolleranza erano presenti anche nello Stato pontificio. Il Regno di Sardegna introdusse il meretricio di stato (pensato, voluto e realizzato da Cavour), anche e soprattutto per motivi igienici, lungo il percorso delle truppe di Napoleone III nella seconda guerra di indipendenza italiana, sul modello di quanto già esisteva in Francia dai tempi del primo Napoleone.
Con l’unità d’Italia, una legge del 1860 estendeva questa pratica a tutto il paese, dove peraltro esisteva già una ricca tradizione di tolleranza in varie regioni. Lo Stato italiano si faceva carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione. Ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un semplice trattenimento in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali, mentre Urbano Rattazzi, anni prima, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale che una prestazione basilare doveva durare venti minuti.
Il regime fascista, con il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, aveva imposto misure restrittive nei confronti delle prostitute, obbligate a essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e sottoposte a esami medici obbligatori. La frequentazione di case di tolleranza era, prima della loro chiusura, una pratica abbastanza consueta presso la popolazione maschile, mentre le donne che entravano a far parte della schiera delle prostitute avevano poche possibilità di affrancarsi da un mestiere che spesso era fonte di malattie veneree e quindi di una minore aspettativa di vita.
Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale l’opinione pubblica era in buona parte favorevole alla prostituzione legalizzata, sia per ragioni di igiene pubblica, sia per la volontà di porre un divario con le ragazze destinate a diventare spose e madri e per garantire alla popolazione maschile una valvola di sfogo per i propri istinti sessuali.
Lina Merlin
Una prima versione del suo disegno di legge in materia di abolizione delle case chiuse in Italia, Lina Merlin lo aveva presentato nell’agosto del 1948 (anno in cui si calcola fossero attivi oltre settecento casini, con tremila donne registrate, che risulteranno ridotte a circa duemilacinquecento al momento dell’entrata in vigore della legge).
La legge italiana in vigore fino ad allora prevedeva che venissero periodicamente messi in atto controlli sanitari sulle prostitute, anche se in realtà i controlli erano sporadici e soggetti a pressioni di ogni genere da parte dei tenutari, specialmente al fine di impedire di vedersi ritirata la licenza per la gestione dell’attività.
Con il parere contrario dei monarchici e missini, il progetto divenne legge dopo un lunghissimo iter parlamentare il 20 febbraio 1958: veniva abolita la regolamentazione statale della prostituzione e si disponevano sanzioni nei confronti dello sfruttamento della prostituzione.
Sei mesi dopo la pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana – avvenuta sul numero 55 del 4 marzo – alla mezzanotte del 20 settembre di quell’anno, vennero chiusi oltre cinquecentosessanta postriboli su tutto il territorio nazionale. Molti di questi luoghi furono riconvertiti in enti di patronato per l’accoglienza e il ricovero delle ex-prostitute.
La tenacia di Lina Merlin nel portare avanti, fin dal momento della sua elezione, la propria lotta al lenocinio (favoreggiamento) inteso come sfruttamento di prostitute (e, di fatto, quindi decretare l’illegalizzazione della prostituzione) portò all’approvazione dell’omonima e ampiamente discussa legge.
Il suo primo atto parlamentare era stato quello di depositare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l’uso statale di riscuotere la tassa di esercizio. Un incentivo alla sua azione legislativa venne dall’adesione dell’Italia all’ONU. In virtù di questo evento, il governo dovette sottoscrivere diverse convenzioni internazionali tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (del 1948) che, tra l’altro, faceva obbligo agli Stati firmatari di porre in atto “la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione”.
Il PSI di allora intendeva, come deriva della ratifica di questi trattati, abolire le case di tolleranza gestite dallo Stato. Tuttavia, l’allora ministro degli Interni Mario Scelba aveva smesso di rilasciare licenze di polizia per l’apertura di nuove case già dal 1948.
La proposta di legge presentata dalla Merlin fu l’unica al riguardo. Merlin ribadì nel dibattito parlamentare come l’articolo 3 della Costituzione italiana sancisse l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e l’articolo 32 annoverasse la salute come fondamentale diritto dell’individuo; veniva citato inoltre il secondo comma dell’articolo 41 che stabilisce come un’attività economica non possa essere svolta in modo da arrecare danno alla dignità umana.
A detta della senatrice, le leggi che fino ad allora avevano regolamentato la prostituzione potevano e dovevano essere abolite, senza che a esse venisse sostituito alcun controllo o permesso di esercitarla in luogo pubblico.
Occorsero nove anni perché la sua proposta di legge percorresse l’intero iter legislativo. Nonostante avesse dalla propria parte una maggioranza di consensi, la legge incontrò ostacoli di diverso genere durante il dibattito nelle aule parlamentari, dovendo essere ripresentata allo scadere di ogni legislatura e ricominciare i dibattiti tanto in aula quanto in commissione.
La legge prescriveva anche la costituzione del primo corpo di Polizia femminile, che da allora in poi si sarebbe occupata della prevenzione e della repressione dei reati contro il buon costume e della lotta alla delinquenza minorile.
L’avvenimento, che segnò una svolta nel costume e nella cultura dell’Italia moderna, venne visto da alcuni come una svolta positiva, da altri col timore di alcune conseguenze quali gravi epidemie di malattie veneree e il dilagare delle prostitute nelle strade delle città, cosa che in effetti avvenne. La legge n. 75/1958 punisce formalmente sia lo sfruttamento sia il favoreggiamento della prostituzione: infatti l’art. 3, n. 8), della l. 75/1958 punisce “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.
L’addio alle case chiuse
Pur essendo l’argomento per sua natura scabroso, e perciò improponibile sui pudibondi mezzi di informazione dell’Italia degli anni cinquanta, nel Parlamento e nella società si creò una spaccatura trasversale tra coloro che sostenevano l’opinione della Merlin, tra cui molti esponenti di area cattolica, e molti altri che invece opposero un atteggiamento di rifiuto totale e categorico, inclusi diversi suoi compagni di partito, come il medico socialista Gaetano Pieraccini, che disse, tra l’altro che “per evitare la prostituzione, dovremmo essere costruiti come gli animali inferiori, ad esempio il corallo, che è asessuale e non ha il sistema nervoso” o Eugenio Dugoni, che ebbe scontri verbali durissimi con la Merlin.
Lo scontro tra queste due opposte tendenze raggiunse comunque i banchi delle librerie quando Merlin, insieme alla giornalista Carla Voltolina, moglie del deputato socialista e futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, pubblicò nel 1955 un libro intitolato “Lettere dalle case chiuse”, nel quale – attraverso la prosa ingenua e spesso sgrammaticata delle lettere indirizzate alla Merlin dalle stesse sfortunate vittime la realtà dei bordelli italiani – il fenomeno emergeva in tutto il suo squallore.
Sul fronte opposto il giornalista Indro Montanelli si batté pervicacemente contro quella che ormai veniva già chiamata – e si sarebbe da allora chiamata – la legge Merlin. Nel 1956 diede alle stampe un polemico libello intitolato “Addio, Wanda!”, nel quale scriveva tra l’altro:
« … in Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia… »
L’ambiente dei casini è stato trattato anche dallo scrittore Giancarlo Fusco nella sua raccolta di racconti Quando l’Italia tollerava.
Critiche
L’ostilità verso la Merlin dei tenutari di case di tolleranza, che si erano riuniti in un’associazione di categoria denominata APCA (Associazione Proprietari Case Autorizzate), e di tutti coloro che si opponevano alla sua proposta di legge, giunse al punto di costringerla alla semi-clandestinità, dopo che ebbe ricevuto intimidazioni e minacce di morte.
Dagli anni ottanta nel dibattito politico italiano hanno preso corpo numerose richieste per l’abrogazione – in tutto o in parte – della Legge Merlin, giudicata non più al passo con i tempi. La legge è ritenuta da più detrattori non idonea a gestire il fenomeno della prostituzione in Italia che, di fatto, rimane una realtà presente e costante. In Italia, infatti, non è considerato reato la vendita del proprio corpo, mentre lo è lo sfruttamento del corpo altrui anche se in ambiente organizzato. Ciò ha permesso il proseguire, di fatto, della mercificazione corporale nelle strade oltre che nelle case, ma nella clandestinità.
Inoltre, prima dell’entrata in vigore della legge la prostituzione nelle strade era molto poco diffusa, mentre dopo l’entrata in vigore è aumentata notevolmente. Negli anni novanta, soprattutto, si è sviluppato il fenomeno della prostituzione legata all’immigrazione clandestina, esploso poi negli ultimi anni: le prostitute in strada sono nella quasi totalità straniere. Due le etnie più rappresentate: nigeriane da una parte ed europee dell’Est dall’altra.
Il traffico di donne, talvolta anche minorenni, e i lauti guadagni del loro sfruttamento, è passato sotto il controllo delle mafie italiane e dei loro Paesi d’origine, sempre più presenti queste ultime sul territorio italiano. Queste nuove schiave, legate al traffico di esseri umani, sono oggi, di fatto, un problema irrisolto che ripropone con urgenza il ripensamento di tutte le leggi in questo campo, a cominciare dalla stessa legge Merlin.
Il dibattito politico sul tema è però risultato sterile dal punto di vista dei risultati, dato che, attualmente (2012), la normativa in materia è la stessa del 1958, nonostante le numerose proposte di modifica presentate dai politici dei vari schieramenti. La prostituzione genera in Italia un notevole indotto (50000-70000 prostitute coinvolte, 9 milioni di clienti, 19-25 miliardi di euro il giro d’affari stimato) sottratto all’imposizione fiscale.
La allora prostituzione in Italia si puó fare?
Si può fare! lo prevede una sentenza della Cassazione che ha equiparato la professione più antica del mondo — e i relativi incassi — a qualsiasi altra attività lavorativa autonoma. E lo hanno stabilito anche moltissime sentenze delle commissioni tributarie provinciali e regionali contro i ricorsi delle prostitute. L’Agenzia delle Entrate però non spinge su questo versante perché la prostituta da strada è nel 99% nullatenente e non vi è nulla in suo possesso che sia “fiscalmente aggredibile”. Le prostitute “aggredibili” sono quelle ad uno scalino più alto. Il sistema italiano è una specie di redditometro: confronto tra reddito dichiarato e tenore di vita. Se l’Agenzia ritiene di trovarsi di fronte ad una prostituta professionista  si attribuisce una partita Iva d’ufficio e si calcola il 21% a titolo Iva oltre all’Irap e alle imposte sui redditi. Se la prostituta è occasionale il reddito viene determinato in base al possesso dei beni e l’Agenzia chiede l’importo calcolato.
Tutto bene dunque? Per niente. Lo Stato italiano fa il biscazziere con lotterie e gratta e vinci, mantiene il monopolio sui tabacchi, il tutto senza troppi problemi etico-morali. Di fronte alla prostituzione la strada maestra invece non viene seguita. E la strada maestra è ovviamente quella di legalizzare la prostituzione, organizzarla e, perché no, farci anche uno studio di settore. Contemporaneamente prevedere pene severe e applicate contro la prostituzione non registrata. Si fa in Germania con ottimi risultati: basta imitare il modello. Ma siamo in Italia e una soluzione del genere farebbe venire il mal di pancia al Vaticano, che ha già i suoi problemi a pagare le tasse sul suo patrimonio immobiliare.
Il governo Monti – supposto tecnico – nominalmente svincolato dai partiti potrebbe farlo? Certamente, ma, con tutta evidenza, meglio tassare gli operai che le prostitute. Meglio il signor Rossi pensionato che la signorina Ruby Rubacuori.
settembre 14, 2012

INVASIONI BARBARICHE !

Pubblico la locandina distribuita in tutta Italia dall’Associazione Italiana Fisioterapisti, che da anni continua ad accusare i Laureati in Scienze Motorie di ABUSO DI PROFESSIONE SANITARIA.

I fisioterapisti dell’AIFI invece, dall’alto della loro ETICA PROFESSIONALE, dichiarano di essere gli “esperti del movimento e dell’esercizio fisico, e con una conoscenza approfondita dei fattori di rischio, delle patologie e dei loro effetti su tutti i sistemi”, poi sostengono che “I fisioterapisti sono i professionisti ideali per promuovere, orientare, prescrivere  e gestire il movimento per migliorare la salute ed il benessere”.

Praticamente sono i nuovi “MESSIA” dell’era moderna, dimenticando che di figure professionali che ruotano nell’ambito della salute ce ne sono anche altre.

Riporto con precisione il profilo professionale del Fisioterapista:

Decreto Ministero Sanità 14 settembre 1994, n. 741 (in GU 9 gennaio 1995, n. 6) Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista.

Il fisioterapista è l’operatore sanitario, in possesso del diploma universitario abilitante, che svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori, e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita od acquisita.

In riferimento alla diagnosi ed alle prescrizioni del medico, nell’ambito delle proprie competenze, il fisioterapista: a) elabora, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione volto all’individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile; b) pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali; c) propone l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia; d) verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale. 3. Svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari ed in quelli dove si richiedono le sue competenze professionali; 4. Il fisioterapista, attraverso la formazione complementare, integra la formazione di base con indirizzi di specializzazione nel settore della psicomotricità e della terapia occupazionale: a) la specializzazione in psicomotricità consente al fisioterapista di svolgere anche l’assistenza riabilitativa sia psichica che fisica di soggetti in età evolutiva con deficit neurosensoriale o psichico; b) la specializzazione in terapia occupazionale consente al fisioterapista di operare anche nella traduzione funzionale della motricità residua, al fine dello sviluppo di compensi funzionali alla disabilità, con particolare riguardo all’addestramento per conseguire l’autonomia nella vita quotidiana, di relazione (studio-lavoro-tempo libero), anche ai fini dell’utilizzo di vari tipi di ausili in dotazione alla persona o all’ambiente. 5. Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative. La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto. 6. Il fisioterapista svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale.

NON SOLO NEL PROFILO NON SI EVIDENZIANO AFFATTO LE MANSIONI CHE I FISIOTERAPISTI DICHIARANO DI POSSEDERE NEL MANIFESTO. LA COSA GRAVE DI QUESTO MANIFESTO E’ CHE AL COMMA 2 DELL’ART. 1 DEL DECRETO DI CUI AL LORO PROFILO, IL MINISTERO DELLA SALUTE SPECIFICA CHE: “è in riferimento alla diagnosi ed alle prescrizioni del medico, nell’ambito delle proprie competenze che il fisioterapista esercita le proprie funzioni” (Vedi Comma 2 – Art. 1 e lettere seguenti). I FISIOTERAPISTI HANNO SCRITTO CHE LORO SONO I “PROFESSIONISTI IDEALI” IN TERMINI DI “PRESCRIZIONE” DEL MOVIMENTO. LA ”PRESCRIZIONE” E’ UN ATTO TIPICAMENTE MEDICO.

IL 31 MAGGIO 2012, AL MINISTERO DELLA SALUTE, IL  PRESIDENTE ANTONIO BORTONE DICHIARAVA A SUA FIRMA CHE TUTTI I 100.000 LSM ITALIANI, NESSUNO ESCLUSO, SONO DEGLI ABUSIVI.

Purtroppo in assenza di una politica professionale seria saremo costretti a difenderci e attaccare nei tribunali.

 

settembre 13, 2012

MODIFICATO E APPROVATO IL DECRETO BALDUZZI

E’ stato approvato con significative modifiche il Decreto Balduzzi. Le modifiche sono a mio avviso positive ed aprono ad una “concertazione” multidisciplinare.

Relativamente alla parte che interessa i laureati in scienze motorie:

“Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un’attività sportiva non agonistica o amatoriale il Ministero della salute, con proprio decreto emanato di concerto con il Ministro per il turismo e lo sport, dispone garanzie sanitarie mediante l’obbligo di controlli sanitari di praticanti e per la dotazione e l’impiego, da parte di società sportive sia professionistiche che dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita”.

Come potete osservare è scomparso il riferimento alla certificazione specialistica medico-sportiva.

settembre 8, 2012

BICICLETTE ELETTRICHE ? NO GRAZIE !

Sono sicuramente favorevole all’auto elettrica ed ai benefici che può dare alla mobilità cittadina e alla riduzione dell’inquinamento; sono invece contrario alle biciclette elettriche e agli incentivi statali per le stesse.

La bicicletta oltre alla funzione di consentire ad una persona di spostarsi da un punto all’altro della città, ha la funzione di far fare attività fisica a chi la utilizza.

Oggi ci si muove sempre meno e la sedentarietà ci sta portando al decadimento psico-fisico.

Andando con una bicicletta “normale” stimoliamo positivamente il sistema cardio-vascolare, i tono muscolare degli arti inferiori e della colonna vertebrale; la bicicletta elettrica toglie tutti questi effetti benefici.

Oggi la tecnologia e la meccanica ci consentono di avere biciclette più leggere e con rapporti che facilitano la pedalata anche in salita e che ritengo siano già sufficientemente idonee a personalizzare lo sforzo.

Dobbiamo ricordarci che la nostra salute è strettamente legata alla quantità e qualità di attività fisica che pratichiamo.

Più movimento, più salute!

settembre 8, 2012

FIBROMIALGIA

Chiunque si occupi di malattie reumatiche non ha difficoltà a riconoscere che la FM è la patologia che si incontra più frequentemente, soprattutto nell’attività ambulatoriale. Ciò nonostante non ci sono dati attendibili sulla reale frequenza della FM in quanto tale malattia continua ancora oggi ad essere ampiamente sottostimata e raramente diagnosticata. Basti pensare all’ambulatorio del medico di medicina generale e a quanti pazienti ogni giorno visita in quanto lamentano uno o più di questi sintomi: dolori muscolari, cefalea, vertigini, epigastralgie, insonnia, dolori addominali, astenia, parestesie, tachicardia. Una buona parte è certamente affetta da FM senza saperlo.
I dati epidemiologicidi cui disponiamo sono relativi a valutazioni eseguite in:

  1. studi su popolazione sana, di cui alcuni recentissimi, che documentano una prevalenza compresa tra il 2 e il 4% (con valori notevolmente più elevati se si scorporano i dati per la sola popolazione femminile: 8-10% circa).
  2. studi su pazienti ricoverati in ambiente internistico che evidenziano prevalenze nell’ordine del 10%
  3. studi su pazienti valutati in ambiente reumatologico dove la prevalenza raggiunge il 25%

Tra gli ultimi lavori di tipo epidemiologico, due rivestono particolare interesse:

  1. Il primo è uno studio di popolazione, pubblicato nel 1999, che ha coinvolto 3395 abitanti della cittadina canadese di London (The London Fibromyalgia Epidemiology Study). Sono stati individuati 100 casi di FM (86 femmine e 14 maschi: rapporto F/M=3:1), con una prevalenza quindi del 3.3%. La prevalenza nel sesso femminile era pari al 4.9% per salire al 8% nella classe d’età 55-64 anni. Sono stati individuati una serie di fattori di rischio per la FM: oltre al sesso femminile, età media, livello di istruzione inferiore, reddito basso, essere divorziati. A tutt’oggi questo rimane lo studio più ampio e rigoroso che viene sempre citato.
  2. Il secondo è uno studio pubblicato nel 2005 che rientra in un progetto iniziato nel 2003 con uno studio a livello europeo (The Feel Study: Fibromyalgia Epidemiology European Large scale survey) per valutare la prevalenza “possibile” della FM nella popolazione generale. La metodologia utilizzata è quella delle interviste telefoniche per raggiungere il maggior numero possibile di individui: il numero dei pazienti “possibili” veniva poi corretto con un coefficiente calcolato dallo studio canadese di cui sopra (rapporto tra FM teoriche e FM confermate dalla visita reumatologica). In tale modo è stato possibile calcolare la prevalenza possibile della FM in: 1. Francia (su campione di 1000 abitanti): 4,3% della popolazione generale (6,1% delle donne e 0,5% degli uomini) 2. Portogallo (su campione di 500 abitanti): 6,1% della popolazione generale (8,8% delle donne e 0,7% degli uomini) 3. Italia (su campione di 1000 abitanti): 4,1% della popolazione generale (6,9% delle donne e 0,3% degli uomini).
settembre 7, 2012

Balduzzi ascolta!

Al Ministro Balduzzi chiedo di dissipare ogni dubbio sulle misure relative alla visita medica sportiva contenute nel decreto sanita’ in via di approvazione.

Sebbene la tutela della salute degli sportivi sia una priorita’ che richiede impegno costante e massima vigilanza, ritengo che la scelta di apportare modifiche al sistema delle visite mediche in campo sportivo non agonistico non solo debba essere presa dopo un’attenta valutazione, ma debba anche essere concordata con le Istituzioni sportive e con i professionisti dell’esercizio fisico, che in Italia sono i dottori in scienze motorie.
Oggi le palestre e le società sportive dilettantistiche possono essere gestite da tutti anche da “Asini”. Non si capisce perchè il Ministro non introduca l’obbligo del direttore tecnico laureato in scienze motorie. Il dottore in scienze motorie potrebbe pianificare la “stratificazione” del rischio e decidere chi inviare a fare una visita medico sportiva seria.
settembre 3, 2012

Come nel 1994 lo scontro sarà tra vecchi e nuovi – LUCA RICOLFI – La Stampa

 

È difficile che si voti a novembre, ma è praticamente certo che a novembre comincerà la bagarre. Mentre il povero Monti, come succede a fine anno a qualsiasi presidente del Consiglio, sarà alle prese con i problemi dei conti pubblici, i partiti avranno tutti la testa già rivolta alle elezioni di primavera. Ogni gesto, ogni dichiarazione, ogni parola sarà finalizzata ad attirare il maggior numero di voti possibile.A tutt’oggi, tuttavia, noi elettori siamo all’oscuro di tutto. Non sappiamo, ad esempio, quanti parlamentari dovremo eleggere. Non sappiamo se i condannati con sentenza definitivapotrannoesserecandidati oppure no. Non sappiamo con quale legge elettorale si voterà. Non sappiamo quante e quali liste saranno in campo. Anche se non sappiamo nulla, possiamo però fare qualche previsione. Io ne azzardo alcune, dalla più facile alla più difficile.Numero di parlamentari: l’auspicata riduzione non ci sarà, penso abbia ragione Arturo Parisi quando dice che i continui rinvii dell’accordo sulla legge elettorale siano stati finalizzati all’obiettivo nascosto di rendere impossibile (con la scusa che «è troppo tardi, ormai») unariformapiùorganica,cheriduca il numero di parlamentari.

Candidabilità dei condannati: sarà perfettamente possibile candidare al Parlamento un condannato con sentenza definitiva. In questo modo il nostro Parlamento potrà conservare un primato cui evidentemente tiene molto: quello di essere l’istituzione con la massima densità di soggetti condannati e rinviati a giudizio.

Legge elettorale: se non sarà il porcellum (legge attuale), sarà il super-porcellum (legge attualmente in discussione), ossia l’unico sistema capace di sommare i difetti del proporzionale e i difetti del maggioritario. La legge di cui si parla da settimane, infatti, gode di tre interessanti proprietà: permette ai segretari di partito di scegliere a tavolino una frazione considerevole degli eletti, a prescindere dalle scelte degli elettori; non consente ai cittadini di sapere, la sera delle elezioni, chi le ha vinte e chi le ha perse (si torna ad accordi fatti in Parlamento, come nella prima Repubblica); distorce la rappresentanza, nel senso che, con il premio di maggioranza, conferisce al partito più grande molti più seggi di quanti ne merita in base al voto e, con la soglia di sbarramento al 5%, toglie molti seggi ai partiti più piccoli.

Numero delle liste: saranno tantissime, come sempre, ma quelle «vere», ossia con ragionevoli chances di superare il 5% dei consensi, saranno solo 7.

Quali liste: qui viene il bello. Secondo me lo schema delle prossime elezioni sarà un 4 + 3 + «fricioletti» (pescetti fritti, come il mio maestro Luciano Gallino chiamava i libri che una biblioteca seria non dovrebbe mai ordinare, perché costano e durano poco).

Ci saranno quattro formazioni che, se non sbagliano clamorosamente strategia e se non sono cannibalizzate dalle liste di disturbo, possono aspirare a un risultato non lontano dal 20%. Due di esse, Pdl e Pd, sono vecchie ma si presenteranno con sigle più o meno rinnovate, il Pdl con un nome e un simbolo nuovi, il Pd con qualche segno che indichi l’annessione di Sel e di Vendola al super-partito della sinistra. Le altre due liste sono nuove di zecca, e sono il movimento di Grillo (Cinque Stelle) e quello nascente di Montezemolo (Italia Futura), più o meno ibridato con movimenti di ispirazione simile.

Ci saranno poi tre formazioni che possono aspirare a qualcosa più del 5%, e cioè l’Udc, l’Italia dei Valori e la Lega, anch’esse più o meno riverniciate e restaurate per non sembrare troppo vecchie.

E infine i fricioletti, almeno 20 liste e listarelle (alcune di nobili tradizioni, altre inventate per l’occasione), implacabilmente destinate a restare sotto il 5%, quando non sotto l’1%.

Quel che è interessante, però, è il tipo di competizione politica che si prepara. Potrò sbagliare, ma a mio parere quel che sta accadendo nell’elettorato italiano è molto simile a quel che accadde venti anni fa, nel periodo di sbriciolamento non solo delle istituzioni ma anche delle strutture mentali della prima Repubblica. Fra il 1992 e il 1994 diminuì drasticamente la quota di italiani che ragionavano prevalentemente in termini di destra e sinistra, e aumentò sensibilmente la quota di quanti ragionavano in termini di vecchio e nuovo. Ci fu un momento, anzi, in cui questo gruppo risultò più numeroso del primo. Oggi sta succedendo qualcosa di molto simile.

Gli elettori che andranno al voto si divideranno, innanzitutto, fra chi è ancora disposto a scegliere una forza politica tradizionale e chi invece preferisce puntare su una forza nuova. I primi, i «vecchisti», potranno comodamente ragionare in termini di destra e sinistra, scegliendo una fra le tre opzioni disponibili: Pdl, Udc, Pd, i tre partiti che hanno sostenuto il governo Monti. I secondi, i «nuovisti», dovranno invece abituarsi a ragionare in termini molto diversi, perché l’offerta politica delle due principali liste nuove è molto più polarizzata: da una parte c’è l’anticapitalismo anti-euro e antiEuropa di Grillo, dall’altra c’è il turbo-liberalismo di Italia Futura e dei gruppi ad essa vicini, come «Fermare il declino» di Oscar Giannino. Qui destra e sinistra c’entrano davvero poco, quel che conta – e divide – sono le ricette per affrontare la crisi: con meno Europa e meno ceto politico se voti Grillo, con meno tasse e meno Stato se voti Montezemolo. E dintorni.

Sono due modi di porre i problemi che, in questo periodo, hanno entrambi un grande appeal. I sondaggi mostrano da almeno cinque anni che le spinte anti-partitiche e i dubbi sull’Europa sono molto radicati nell’elettorato. Ma un interessante sondaggio di Renato Mannheimer di qualche tempo fa segnalava anche un’altra e assai meno nota novità: per la prima volta da molti anni sono più gli italiani che si preoccupano dell’eccesso di tasse che quelli che si preoccupano di salvare lo Stato sociale.

Insomma, se fossi il leader di una forza politica tradizionale sarei preoccupato, molto preoccupato. La forza d’urto dell’onda anti-partiti potrebbe essere assai forte, specie sotto l’ipotesi Ber-Ber: un Pd guidato da Bersani (l’usato sicuro) e un Pdl guidato da Berlusconi (lo strausato insicuro). E molto mi sorprende che, quando si parla di premio di maggioranza, se ne discuta come se potesse andare solo al Pd o al Pdl, o addirittura come se la corazzata Bersani-Vendola avesse già la vittoria in tasca. Se fossi Bersani non sottovaluterei né l’area Montezemolo né quella di Grillo, specie nella sciagurata eventualità che i partiti continuino a restare insensibili al «grido di dolore» che, da tanti anni e da tante parti d’Italia, i cittadini levano contro la politica e i suoi indistruttibili, irrottamabili, rappresentanti di sempre.