maggio 3, 2013

VERONA CITTA’ DELLA SALUTE

Il Comune di Verona vuole favorire le iniziative intese al miglioramento della salute e della vita della popolazione. La salute di un cittadino rappresenta un vantaggio per tutta la collettività, e l’aumento progressivo della popolazione anziana genera criticità sul piano sociale ed economico. Invecchiare in modo più sano e conseguentemente “attivo” è possibile, correggendo abitudini e stile di vita. Meglio ancora, intervenendo sul piano educativo fin dalla più giovane età. Studi e riflessioni saranno quindi focalizzati  sui giovani, perché su di essi è possibile e quindi necessario fare vera prevenzione; sugli adulti, perché in età adulta molte abitudini, stili di vita e comportamenti sono spesso inveterati e quindi molto difficili da modificare; sugli anziani perché attività motoria e vitalità cognitiva sono strettamente correlate tra loro.

Una delibera di Consiglio Comunale, la numero 6 del 7 febbraio 2013, quindi appena approvata, ha dato ufficiale indirizzo all’Amministrazione nel perseguire localmente progetti ed iniziative futuri sul tema della Salute, sviluppando anche collaborazioni con portatori di interesse esterni all’Ente.

Come primo passo il Comune di Verona, in collaborazione con DMSA (Associazione Italiana Dottori in Scienze Motorie), con l’Università di Verona Facoltà di Medicina e con altri medici ed  esperti, ha organizzato il 27 aprile 2013 il Convegno: “Medical Fitness e stile di vita – Una via per l’invecchiamento attivo”.

Sono comunque molti altri i passi che si intende compiere nel cammino verso i risultati da raggiungere e che sono stati raccolti, nella delibera citata, in un apposito piano/programma di implementazione.

Il Progetto “Verona città della salute”  rientra nel piano e con esso si vuole raggiungere l’obiettivo di una migliore qualità di vita per i veronesi.

Il Progetto punta a creare un maggiore  coordinamento tra pubbliche amministrazioni, scuole e cittadini, formando ad esempio dei formatori reclutati volontariamente fra gli insegnanti che informino soprattutto i giovani sui fattori di rischio per la salute determinati dal tabagismo, dall’alcool e dalle droghe; organizzando inoltre una campagna educativo-formativa per diffondere cultura e consapevolezza tramite newsletters, comunicati stampa, sito Internet del Comune, pagina Facebook. Verranno coinvolti anche ASL, Università;USP, Associazioni e palestre, il tutto a costo zero per il Comune.

Per reperire risorse economiche ove necessario,.si coinvolgeranno di più i privati in quanto attivi  a livello commerciale.

Si prevede venga attuata anche una migliore integrazione dei servizi e dei Settori  comunali, intervenendo dove possibile su regolamenti e capitolati , introducendo proposte preferenziali e suggerimenti ( percorsi ciclabili, percorsi pedonali, merendine nei distributori ecc.), l’obiettivo è ridurre la sedentarietà, l’obesità , a questo fine anche il Progetto “Palestre sicure” rientra  nel piano.

Per ulteriori approfondimenti, contattare: gpasetto@dmsa.it

 

 

maggio 2, 2013

SPERIMENTAZIONE SCIENTIFICA SUGLI ANIMALI

Capisco che la posizione che sostengo è una posizione poco popolare, ma la disinformazione riguardo la sperimentazione animale rischia di arrecare danni enormi alla salute sia animale che umana. La sperimentazione animale, purtroppo, è infatti uno step ancora imprescindibile nella creazione di un farmaco. Senza la sperimentazione animale tutti i farmaci che sono ora in commercio non esisterebbero. Basti pensare che fino a poco tempo fa si moriva molto facilmente di malattie come polmonite, influenza, difterite, tubercolosi, diabete, poliomielite e altre ancora a causa delle scarse conoscenze mediche e delle insufficienti soluzioni farmacologiche presenti.

Il benessere animale è fondamentale per condurre uno studio corretto; se infatti l’animale soffre, la qualità della ricerca sarà pessima, ed è per questo che uno dei principi cardine della sperimentazione animale sono le 3R: Replace, Reduce, Refine.

Replace significa che l’animale viene sostituito ogni qualvolta sia possibile farlo. Questo è obbligatorio anche per legge, infatti il D.lgs. 116/92 recita: “Gli esperimenti di cui all’art. 3 possono essere eseguiti soltanto quando, per ottenere il risultato ricercato, non sia possibile utilizzare altro metodo scientificamente valido, ragionevolmente e praticamente applicabile, che non implichi l’impiego di animali.” (art. 4, comma 1). E’ importante sottolineare come, sfortunatamente e a differenza di ciò che asseriscono informazioni spesso inesatte divulgate da figure esterne alla comunità scientifica, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non tutti gli esperimenti possono essere eseguiti senza utilizzare un organismo vivente complesso: si pensi ad esempio agli impianti cocleari, ai pacemaker, o ai farmaci antiepilettici, trattamenti che certo non possono essere replicati utilizzando semplici colture cellulari.
Il principio del Reduce è quello di utilizzare il minor numero di animali possibile, in linea anche con il punto precedentemente esposto. Come è possibile verificare all’indirizzo seguente (http://www.izs.it/bollettino_segn_legislative/bollettini_2011/marzo_11/3_sperimentazione%20animale.pdf), tale riduzione viene già messa in atto, ad esempio vi invitiamo a notare come nel corso di soli tre anni (periodo 2007-2009) il numero di cani utilizzati per la sperimentazione animale in Italia sia sceso di approssimativamente il 40%.
Infine Refine si riferisce alla riduzione della sofferenza dell’animale al minimo possibile; questo significa anche mettere l’animale nelle migliori condizioni di vita possibile, dalla gabbietta sempre pulita con cura, al cibo e all’acqua sempre presenti, dalla possibilità per l’animale di interagire con i propri simili se appartiene ad una specie socievole, alla presenza costante in stabulario di un veterinario pronto a intervenire al minimo segno di problemi.
In particolare, vorrei sottolineare come, per evitare sofferenza inutile all’animale, l’anestesia sia obbligatoria, sia secondo il D.lgs. 116/92 (articolo 2, comma 2,3)
“Quando non sia possibile ai sensi del comma 1 evitare un esperimento, si deve documentare alla autorità sanitaria competente la necessità del ricorso ad una specie determinata e al tipo di esperimento; tra più esperimenti debbono preferirsi:
• 1) quelli che richiedono il minor numero di animali;
• 2) quelli che implicano l’impiego di animali con il più basso sviluppo neurologico;
• 3) quelli che causano meno dolore, sofferenza, angoscia o danni durevoli;
• 4) quelli che offrono maggiori probabilità di risultati soddisfacenti.
3. Tutti gli esperimenti devono essere effettuati sotto anestesia generale o locale.”
che secondo la Direttiva Europea 2010/63/UE (articolo 14) “Gli Stati membri assicurano che, salvo non sia opportuno, le procedure siano effettuate sotto anestesia totale o locale, e che siano impiegati analgesici o un altro metodo appropriato per ridurre al minimo dolore sofferenza e angoscia.
Le procedure che comportano gravi lesioni che possono causare intenso dolore non sono effettuate senza anestesia.
2. Allorché si decide sull’opportunità di ricorrere all’anestesia si tiene conto dei seguenti fattori:
a) se si ritiene che l’anestesia sia più traumatica per l’animale della procedura stessa; e
b) se l’anestesia è incompatibile con lo scopo della procedura.
3. Gli Stati membri assicurano che agli animali non sia somministrata alcuna sostanza che elimini o riduca la loro capacità di mostrare dolore senza una dose adeguata di anestetici o di analgesici.
In questi casi è fornita una giustificazione scientifica insieme a informazioni dettagliate sul regime anestetico o analgesico.
4. Un animale che, una volta passato l’effetto dell’anestesia, manifesti sofferenza riceve un trattamento analgesico preventivo e postoperatorio o è trattato con altri metodi antidolorifici adeguati sempre che ciò sia compatibile con la finalità della procedura.
5. Non appena raggiunto lo scopo della procedura sono intraprese azioni appropriate allo scopo di ridurre al minimo la sofferenza dell’animale.”

In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, mi auguro che si possano trovare soluzioni alternative alla sperimentazione animale, ma che ciò venga fatto con buon senso, affinchè si possa comunque dare speranza a chi purtroppo necessita ancora oggi di un farmaco e di una terapia per poter continuare a vivere.

aprile 4, 2013

Distretti industriali, chi vince e chi perde

Attilio Pasetto

Diminuisce del 2,8% il fatturato 2012 (sempre meglio della media nazionale dell’industria, -5%), ma con differenze anche forti tra l’uno e l’altro e tra settori (l’export della meccanica -3%, quello dell’Hi-tech +14,9). Bene anche alimentare e farmaceutica. Cosa serve per migliorare ?

Quant’è profonda la crisi dell’industria italiana? Il termometro dei distretti industriali – nocciolo duro del nostro sistema produttivo – indica nel 2012 un calo del fatturato del 2,8%, che interrompe la ripresa avvenuta nei due anni precedenti (+9,7% nel 2010, +5,2% nel 2011). Una ripresa che comunque non era riuscita a recuperare i livelli pre-crisi. Questa è la fotografia scattata dal quarto rapporto dell’Osservatorio nazionale distretti italiani, da poco presentato. E’ sempre vero che i distretti vanno meglio del resto dell’industria, che sconta un calo del fatturato nel 2012 di circa il 5%; tuttavia è chiaro che la crisi morde profondamente anche i sistemi produttivi locali. Le previsioni per quest’anno sono di sostanziale stagnazione (+1%), mentre nel 2014 il fatturato dovrebbe aumentare del 4%.

E’ evidente che anche l’export, pur continuando ad avere un ruolo trainante per i distretti e per l’intera manifattura italiana, non basta più. Le esportazioni sono fin qui servite ad evitare il tracollo del sistema, ma da sole non ce la fanno a creare sviluppo e occupazione. Anzi, la divaricazione sempre più forte tra andamento positivo dell’export e depressione del mercato interno autorizza qualche analista a parlare di “segnali di frattura” nel sistema produttivo italiano. Questo significa che sopravvivono solo le imprese che esportano o più in generale si internazionalizzano, con conseguenze pesantissime sulle catene del valore tra committenti e fornitori e sulla deindustrializzazione di molti territori.

Anche l’export presenta però segnali di discontinuità: mentre le esportazioni verso i Paesi extra-UE aumentano (+5,3% per i distretti nei primi nove mesi del 2012), quelle in ambito comunitario diminuiscono (-1%). Inoltre emergono differenze significative fra i vari comparti. Secondo i dati della Fondazione Edison, nei primi nove mesi del 2012 il comparto automazione-meccanica ha accusato una flessione delle esportazioni del 3,1%, a fronte della tenuta dell’abbigliamento (+1,7%) e dell’arredo-casa (+2,9%) e la crescita dell’alimentare-vini (+6,9%) e soprattutto dell’alta tecnologia (+14,9%).

Quest’ultimo è forse il dato più incoraggiante, considerato che l’hi-tech è sempre stato il punto debole del made in Italy. All’interno dell’alta tecnologia, i distretti che sono andati meglio sono quelli della farmaceutica di Latina, dell’avionica di Vergiate (provincia di Varese), dell’elettronica dell’Etna Valley e delle auto sportive di Maranello. In ripresa nel quarto trimestre, dopo il terremoto, il biomedicale di Mirandola. Meno bene invece l’ICT (informatica e telecomunicazioni), che ancora non riparte.

Altri segnali incoraggianti vengono dall’alimentare, grazie alle buone performance dei distretti di Parma (formaggi, latte, pasta), Cuneo (cioccolato e prodotti da forno), della Valpolicella e del Chianti (vini).

Scendendo ulteriormente nel dettaglio, la situazione appare molto diversificata. Tra i settori tradizionali, nel tessile-abbigliamento continua il declino del distretto di Prato, mentre la Valsesia conosce una dinamica migliore. La concia è uno dei pochi settori ad aver riguadagnato i livelli pre-crisi sia a Santa Croce sull’Arno che ad Arzignano anche grazie agli investimenti in materia ambientale. Nelle calzature delle Marche, se il distretto di Fermo, che ha puntato sulla Russia, appare in ripresa, quello di Macerata, orientato verso l’UE, è in flessione. Difficoltà continuano ad attraversare molti distretti legati all’edilizia, come Sassuolo. Migliore appare invece la situazione della rubinetteria del Lago d’Orta e delle pietre ornamentali di Pietrasanta. Tra i mobili, i distretti di Livenza-Piave e delle Murge continuano ad essere in forte difficoltà, mentre va meglio la Brianza. Nei macchinari, cresce l’export di macchine per imballaggio del distretto di Bologna, al contrario di altri comparti della meccanica che l’anno scorso hanno subito le conseguenze del rallentamento delle economie emergenti, come la Cina. Tra questi soprattutto i distretti del Nord Est.

Da che cosa dipendono queste differenti performance? Generalizzare non è possibile, anche perché i distretti sono fatti da tante imprese che possono avere strategie diverse. Il successo o la crisi dei sistemi produttivi locali e delle singole imprese può dipendere dall’aver saputo o meno intraprendere intelligenti strategie di innovazione e/o di penetrazione commerciale, dall’essere radicati o meno in mercati in espansione, dall’aver investito o meno in risorse umane e manageriali, dall’essere riusciti o meno a far parte di reti di collaborazione anche in grado di travalicare la dimensione locale. Tutti questi sono fattori chiave che assumono però valenza diversa a seconda dei contesti specifici.

Ora, guardando al futuro, è ragionevole attendersi un’ulteriore evoluzione delle strategie competitive dei distretti e delle piccole e medie imprese. Queste strategie, per avere successo, non potranno che puntare a forme di aggregazione e condivisione dei know-how sempre più vaste e profonde, andando oltre gli ambiti produttivi e commerciali per arrivare alla messa in comune delle attività di ricerca e di investimento (basti pensare al campo delle tecnologie ambientali). La stessa internazionalizzazione per avere successo nei mercati più lontani richiede forme di collaborazione fra imprese concorrenti.

Le imprese però hanno anche bisogno di politiche industriali che le sostengano in una fase difficile come questa. In un precedente articolo su questa rivista abbiamo indicato alcuni punti nodali da affrontare a livello nazionale. E’ necessario però operare anche a livello locale attraverso politiche mirate in grado di difendere e rafforzare i sistemi territoriali, individuando gli strumenti su cui puntare in funzione delle problematiche dei singoli territori, che abbiamo visto essere molto diverse. La strada per il rilancio dei sistemi produttivi locali e la crescita dell’occupazione passa attraverso l’interazione tra intelligenti strategie aziendali ed efficaci misure di policy, nazionali e territoriali.

articolo tratto da: http://www.eguaglianzaeliberta.it