maggio 5, 2019

per un’Europa dei diritti civili

Per chi i diritti li ama da sempre, come noi, in Italia sono tempi bui. Ma è all’Europa che dobbiamo guardare. Da europei, ne abbiamo tutto il diritto.

L’Unione Europea è l’area del mondo che assicura la maggiore tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. È qualcosa di cui andare molto fieri, ma non tutti gli stati membri abbracciano in tutto questa definizione. A partire purtroppo dall’Italia, in cui tanti di questi diritti vengono ancora messi in discussione, i paesi in cui certe libertà vengono apertamente minacciate, come l’Ungheria di Orban, sono proprio quelli che non intendono cedere sovranità sul tema dei diritti individuali e rivendicano il diritto a un’eccezione nazionale. Sono, quindi, i paesi meno europei. Per questo ci chiamiamo +Europa. Perché l’Europa che vogliamo non ha confini, soprattutto non di genere, non di religione, non di colore della pelle, di orientamento sessuale, di età, di disabilità. Vogliamo un’Europa di cui andare fieri, completamente. Un’Europa da amare, in ogni forma.

Europa baluardo dei diritti umani e civili, per tutte e tutti.

Dobbiamo esigere che i paesi membri dell’Unione uniformino al rialzo il livello di tutela e protezione dei diritti umani e delle libertà civili, riconoscendo piena cittadinanza e dignità a ogni individuo. È necessario sanzionare e ridurre la quota di fondi europei per quei paesi membri che invece imboccano la strada della limitazione, in qualsiasi forma, delle libertà personali, dei diritti delle minoranze e della libertà di accesso alla libera informazione. Ad esempio, vogliamo che le coppie omosessuali congiunte civilmente vedano riconosciuto automaticamente il loro nucleo familiare in ogni paese dell’UE sulla base di leggi condivise e senza dover aspettare, di volta in volta, le sentenze di singoli giudici.

L’importanza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo

Su alcuni temi civili – dalla fecondazione assistita, al riconoscimento delle famiglie omosessuali, dai diritti delle persone detenute, al trattamento dei migranti – l’Italia è stata ripetutamente condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che, pur senza essere un’istituzione dell’Unione, sanziona le violazioni dei diritti fondamentali negli stati membri dell’Ue. La stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a vigilare sull’osservanza dei trattati, è stata in molti casi fondamentale non solo per censurare la violazione da parte degli stati del diritto comunitario, ma, contestualmente, per proteggere i cittadini da queste violazioni e per affermare i loro diritti fondamentali. Ad esempio, proprio una sentenza della Corte di Giustizia europea ha riaperto in Italia, nella scorsa legislatura, la questione della responsabilità civile dei magistrati.

Una Cittadinanza Europea, per dare ai diritti piena cittadinanza

Le quattro “libertà di movimento” (di persone, beni, servizi e capitali) su cui si fonda il funzionamento del mercato comune ha tradotto in termini economici il principio di una piena e uguale cittadinanza europea, che sul piano dei diritti individuali è invece ancora lontana dal pieno compimento.

In Italia non vi è praticamente alcuno dei temi di scontro sui diritti civili (famiglia, diritti LGBT, fine vita…) in cui la posizione nazionalista non sia insieme anti-europea e ostile all’adeguamento degli istituti giuridici al mutamento del costume sociale. Come sui temi economici, anche sui temi civili, il nazionalismo oppone alla libertà degli individui e delle formazioni sociali il “primato” delle decisioni dello Stato. Esattamente come negli anni 30, protezionismo e stato etico, violazione delle libertà economiche e oppressione delle libertà morali dei cittadini, sono due facce della stessa medaglia.

A questa sfida, l’Unione non può rispondere solo con le sentenze delle sue corti, ma deve ormai reagire con un’iniziativa politica, come quella avviata (e ben lontana dal concludersi) dal Parlamento europeo contro l’Ungheria, in base all’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, per la violazione dei diritti umani e della libertà di stampa e di associazione. Perché l’Ue rimanga un presidio della libertà dei cittadini europei, non deve tollerare zone franche di violazione dei diritti umani all’interno degli stati membri e deve reagire con gli stessi strumenti già messi a disposizione dai trattati europei.

L’Europa è donna: per un continente senza confini di genere

L’Europa ha tra i suoi membri alcuni dei paesi più avanzati al mondo nel garantire una piena integrazione delle donne nella vita economica e sociale. Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Non solo alcuni paesi – tra i quali l’Italia – procedono a rilento su questo percorso e restano lontani dal garantire a tutte le donne le opportunità che meritano, altri sembrano addirittura indietreggiare, guidati da una nostalgia per tempi passati.

Vogliamo impegnarci perché questo non accada, e anzi affinché l’Europa continui a giocare al rialzo sull’eguaglianza tra uomo e donna. Innanzitutto estendendo a tutti i paesi membri le esperienze positive che hanno funzionato in molti paesi: dal congedo parentale obbligatorio anche per gli uomini alle normative per la parità nelle retribuzioni tra uomo e donna, dai sistemi di denuncia e protezione contro la violenza e il femminicidio alla promozione dell’educazione tecnico-scientifica tra le ragazze. E affrontando anche le grandi sfide che ancora restano irrisolte, e che anzi rischiano di peggiorare in futuro, per esempio con l’invecchiamento della popolazione che richiederà di pensare modelli nuovi per la cura delle famiglie e degli anziani.

Immigrazione: per restare umani ci vuole l’impegno di tutti

Un welfare e un mercato del lavoro realmente europeo deve farsi carico anche della ripartizione fra Paesi membri dei flussi migratori in arrivo. Oggi la questione è rimessa ad accordi ormai superati dalla tattica del “braccio di ferro” fra Stati. In definitiva è il ritorno della legge del più forte, sulla pelle dei più deboli e sfortunati. Ma se lasciamo che ogni paese difenda da solo le proprie frontiere, il risultato sarà solo un disastroso incremento dei conflitti interni nell’Unione (come dimostrano le minacce sul Brennero della sovranista Austria contro la sovranista Italia). Occorre invece una visione – che muova dall’umanesimo europeo, dal principio di eguaglianza, dalla centralità della persona, dell’individuo, della sua dignità, volontà e libertà – e soprattutto occorre una gestione globale e coordinata del fenomeno. C’è bisogno di un piano europeo. C’è bisogno di più Europa.

L’Europa deve ripudiare la logica del “reato di soccorso” e riconoscere agli stranieri più deboli e ai perseguitati che le si rivolgono lo stesso statuto di diritti inviolabili che riconosce ai propri cittadini. Deve assumere come europee le competenze necessarie a disciplinare e governare la presenza e l’integrazione, definendo politiche legali e adeguate di collocamento, integrazione, ingresso, circolazione, ricongiungimento, asilo ed espulsione, eguali e integrate in tutti i Paesi membri. È necessario introdurre in tutti gli Stati membri dell’Unione – coerentemente con l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “Welcoming Europe”, che sosteniamo – i meccanismi che permettano ai migranti e ai rifugiati vittime di reati di presentare ricorsi e sporgere denunce alla polizia in modo sicuro, dando piena attuazione a quanto previsto dalle normative UE in materia. Le istituzioni europee devono essere messe innanzitutto in condizione di gestire le frontiere europee con un proprio contingente di mezzi e persone; occorre istituire un diritto di asilo europeo con l’apertura di canali legali e sicuri per proteggere chi scappa dalla lesione di diritti umani, con piani di ricollocamento proporzionato all’interno di tutti i Paesi membri.

La sempre più vecchia Europa, con i suoi bassi tassi di natalità, può e deve organizzare ordinate politiche di ingresso degli stranieri che vogliano integrarsi, lavorare o riunirsi alla propria famiglia, e deve farlo anche nell’interesse delle popolazioni europee, che già non sono più in grado di produrre le risorse sufficienti ad assicurare la previdenza necessaria a se stesse. Il fenomeno migratorio verso l’Europa deve essere affrontato con gli strumenti del diritto internazionale, investendo nelle politiche d’integrazione, cioè nelle sole politiche che incrementano la coesione sociale, ripensando l’urbanistica e investendo nelle periferie, per superarne il degrado.

maggio 5, 2019

per un’Europa dell’innovazione

Il futuro è fatto di reti, tecnologia, innovazione. Ma tutto questo è fatto dalle persone. È sulle persone che dobbiamo investire, per diventare grandi.

Viviamo in un momento di grandi cambiamenti: la rivoluzione digitale non è mai cessata e per affrontarla c’è bisogno di restare sempre aggiornati e innovarsi continuamente. Una grande Europa è un’Europa che permette ai suoi cittadini di diventare grandi, per il loro bene e per il bene di tutti gli altri. Come italiani, sentiamo la responsabilità di mettere i nostri talenti in condizione di crescere, muoversi, esprimersi, creare, innovare. Come? Creando reti sempre più efficienti, promuovendo la ricerca e la cultura, non mettendo limiti alla voglia di conoscere. Non è un sogno, è un progetto concreto. Noi lo chiamiamo futuro.

La sfida dell’innovazione e la rivoluzione digitale

L’Unione Europea risulta ancora periferica rispetto alle principali direttrici dello sviluppo tecnologico mondiale degli ultimi anni per l’intera filiera dell’innovazione, nonché alla dimensione strategica dell’IoT e del 5G come presupposti per una società interconnessa, con una tendenza che va assolutamente invertita a pena di perdere centralità e rilevanza nell’arena globale. Esistono comunque molti settori nei quali le applicazioni di intelligenza artificiale e di gestione di grandi moli di dati non si sono ancora espresse appieno e possono quindi rappresentare importanti aree di sviluppo, come ad esempio il settore della meccanica e dell’automazione delle linee di produzione. L’economia digitale e la sharing economy richiedono un livello di investimento infrastrutturale che ci si aspetta arrivi dal settore pubblico che nel lungo periodo sarà difficilmente sostenibile (5G, reti intelligenti, cyber security, interoperabilità dei sistemi pubblici, ecc). Per raggiungere l’obiettivo di creare la nuova economia sostenibile, senza che il settore pubblico diventi il freno e anzi esaltando il ruolo di sviluppo di sistema che può avere, è necessario che le azioni siano ispirate a un unico approccio strategico: dar forza, sostenere e enfatizzare le iniziative della Commissione europea relative al Digital Single Market e alla creazione della Digital Data Economy, stimata in 739 miliardi di euro entro 2020, e un peso pari al 4% del PIL europeo.

Reti digitali europee: più connesse, più sicure

Sempre più il successo della maggior parte delle aziende dipende dal loro accesso al mondo online. Una connettività diffusa e affidabile resta quindi la condizione essenziale per qualunque avanzamento tecnologico ed economico dell’Europa. Gli Stati europei – e in particolare l’Italia – dovranno continuare a investire per il cablaggio 5G, WiFi e Fibra Ottica, in maniera complementare al progetto UE per il 5G, sperimentando anche soluzioni innovative che mettano in rete risorse di connettività comprate dai privati, come nel mondo dell’energia elettrica. Parallelamente va potenziato l’impegno dell’Unione Europea per garantire la sicurezza delle reti e di tutto l’ecosistema digitale europeo, in coordinamento con gli Stati membri per garantire la domanda di prodotti e servizi certificati nei bandi pubblici e certificare standard adeguati all’interno del mercato europeo.

Utilizzare i dati a nostro vantaggio, non contro di noi

Va completato il mercato unico digitale, vanno rimossi gli ostacoli alla portabilità dei dati e definiti standard e protocolli europei per la sicurezza cibernetica e la privacy. È fondamentale sperimentare soluzioni capaci di fronteggiare le concentrazioni di potere informativo in capo a soggetti pubblici e privati. Sul fronte della circolazione di dati e informazione, il principio di portabilità introdotto dalla GDPR è un buon inizio verso modelli di accesso ai dati personali che garantiscano migliore efficienza. Bisogna però andare oltre e stare al passo con le sperimentazioni che sono già in corso nella creazione di veri e propri data trust, mercati di dati o altri modelli che garantiscano al tempo stesso privacy, efficienza economica ed equità. È una sfida che può essere vinta solo a livello europeo.

“Diritto alla scienza”, per trasformare i talenti in innovazione

È l’avanzamento della conoscenza umana il presupposto indispensabile per il progresso dell’innovazione e il miglioramento delle nostre condizioni di vita. Dobbiamo mettere gli italiani e gli europei nelle condizioni di avanzare nella ricerca e di innovare, in tutte le scienze e discipline. Difendere e promuovere il “diritto alla scienza” e la massima diffusione del metodo scientifico, orientando la legislazione affinché accompagni e promuova la libertà della comunità scientifica nell’esercizio responsabile della libertà di ricerca verso nuovi traguardi conoscitivi, e consenta ai cittadini di accedere e beneficiare delle nuove conquiste, eliminando le differenze talvolta significative che ancora persistono tra diversi paesi dell’Unione. L’approvazione dell’accordo generale sulla programmazione UE 2021-2027 Horizon Europe sarà un appuntamento fondamentale per dare ulteriore impulso alla ricerca e all’innovazione in Europa.  Ci impegniamo nella negoziazione che si aprirà con la nuova legislatura europea tra il Parlamento Europeo e il Consiglio ad aumentare il bilancio complessivo del programma nonché il peso all’interno di essi dei finanziamenti alla ricerca di base, riconoscendola quale motore fondamentale dell’avanzamento della conoscenza. Dobbiamo raggiungere l’obiettivo di aumentare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo fino al 3% del PIL nazionale. Inoltre ci impegniamo affinché in ambito europeo si adottino ulteriori misure volte a incrementare e promuovere la mobilità dei talenti tra paesi dell’Unione, aumentando borse di studio e semplificando e uniformando le procedure di riconoscimento dei titoli di studio accademici.

L’Europa avanguardia della cultura

I grandi balzi in avanti della civiltà europea sono stati innanzitutto delle rivoluzioni culturali. L’Europa deve continuare a farsi avanguardia e produttrice di cultura in tutte le sue forme, dalle arti al pensiero. Vogliamo che l’Unione Europea riconosca alla cultura un ruolo centrale nelle proprie strategie di sviluppo sociale ed economico, alla pari di altri servizi e beni essenziali come l’istruzione o la sanità. È necessario aggiornare i criteri esistenti per l’assegnazione e l’investimento di fondi europei, cercando di limitare i divari nell’offerta di servizi e prodotti culturali. In fase di erogazione dei finanziamenti europei, è importante che ogni membro dell’Unione – e in particolare l’Italia – riconosca la specificità in termini di accesso al credito e disponibilità di liquidità delle imprese culturali e di altri soggetti del terzo settore, istituendo meccanismi che facilitino la loro partecipazione a bandi e finanziamenti.

Docenti più europei, per una scuola che insegni il futuro

L’apertura dei confini in Europa ha aggiunto negli ultimi anni un ulteriore elemento di separazione tra coloro che sono nelle condizioni di beneficiare a pieno delle nuove opportunità e gli altri. Occorre portare uno sguardo europeo in tutte le scuole per poter aprire a tutti gli studenti le porte dell’Europa. Il modo migliore per farlo è partire dai docenti, deputati ad aprire le menti dei nostri giovani e stimolare la loro curiosità. Occorre rendere realmente possibile una vera “mobilità formativa” dei docenti, consentendo un anno di formazione e apprendimento sul campo da realizzare in un altro paese membro.

maggio 5, 2019

Per un’Europa che cresce attraverso il lavoro

Creare lavoro, con risorse più semplici da ottenere. E al contempo, non lasciare indietro nessuno, con formazione, sussidi e pensioni davvero comunitarie.

Per creare lavoro, dobbiamo lavorare insieme. È arrivato il momento di immaginare un mercato del lavoro e un welfare davvero europeo, con regole e strumenti di protezione comuni ma soprattutto con un obiettivo comune: abbattere le barriere culturali, linguistiche e amministrative per premiare l’impegno, la preparazione e la voglia di fare. Unire gli sforzi e le opportunità di ciascun paese per creare una rete unica in grado di dare a studenti, lavoratori, disoccupati, pensionati, piccole e medie aziende il futuro che meritano. Un futuro che offre opportunità da cogliere a chi può farlo, senza lasciare indietro nessuno.

Verso un mercato unico del lavoro

L’Europa ha elevata densità demografica, ottime vie di comunicazione, alta urbanizzazione: tutte condizioni che favoriscono la mobilità interna continentale. Questa tuttavia rimane assai bassa, se paragonata a quella statunitense, e questo riduce le possibilità dei cittadini europei di cogliere le opportunità di lavoro e di vita laddove queste si presentano. Le barriere culturali e linguistiche sono un ostacolo importante, ma ci sono anche difficoltà di natura legale e amministrativa su cui è necessario intervenire, nel mercato del lavoro autonomo e in quello dipendente: solo per citare le principali, la difformità dei criteri di valutazione degli studenti, le barriere ancora esistenti per il riconoscimento dei titoli di studio, le barriere all’ingresso nelle professioni, le disparità nei benefici di welfare e la portabilità dei diritti pensionistici.

Al tempo stesso, la mobilità di lavoratori da un paese all’altro dell’Unione comporta una perdita economica secca da parte dei paesi di provenienza. Non si tratta solo della perdita di capitale umano – spesso anche qualificato – ma della riduzione dei contributi versati alle forme di supporto e previdenza ancora organizzate su base nazionale. Questo è insostenibile all’interno di un’unione federale e apre la porta a fenomeni di divergenza in cui shock temporanei possono avvitarsi in crisi profonde di lungo periodo. Non solo infatti la caduta del PIL e delle entrate fiscali di uno degli Stati membri dell’Unione non è compensata da trasferimenti da Bruxelles (come invece avviene per esempio negli Stati Uniti), ma lo spostamento di lavoratori dai paesi in crisi verso quelli in crescita mette di fatto a repentaglio lo stato sociale anche per coloro che restano a lavorare nel proprio paese.

A questo si sommano le disparità regolatorie tra i diversi Paesi, legate ad esempio a norme giuslavoristiche, al carico fiscale e contributivo o relative alla sicurezza sul lavoro, che contribuiscono ad alimentare distanze tra i paesi, determinando in alcuni casi fenomeni di concorrenza al ribasso (il cosiddetto dumping sociale). Occorre una nuova stagione di riforme della legislazione europea, per l’introduzione di un quadro di regole comuni che riconosca le differenze e le sensibilità nazionali, che elimini le principali barriere alla mobilità dei lavoratori ma che favorisca una maggiore armonizzazione dei diritti sociali. In linea con il percorso indicato dal Parlamento Europeo, il mercato del lavoro europeo dovrà mettere al centro la partecipazione dei lavoratori alla gestione d’impresa.

#AssegnoEuropeo, il fondo Ue che raddoppia i fondi per le giovani imprese

Sempre più start-up e imprese europee chiedono la creazione di uno spazio legislativo semplice, protetto e comune a tutta l’Unione Europea in cui crescere e investire: un ecosistema integrato, con regole comuni e coerenti su questioni attinenti a tassazione, mercato del lavoro, accesso al capitale e tutela dei brevetti. Questo faciliterebbe gli scambi e le operazioni tra Paesi diversi, permetterebbe sinergie continentali e aumenterebbe le possibilità di successo per le nostre migliori giovani iniziative, sia profit che no profit. Vogliamo l’istituzione di un “Assegno Europeo”, un fondo pubblico europeo che sostenga le nuove e buone idee con un meccanismo semplice: investire un importo pari a quanto concesso alle imprese da fondi di venture capital e private equity, selezionati tra quelli che rispondono a determinati criteri di solidità finanziaria. In questo modo, si lascia al mercato e agli esperti del rischio d’impresa la selezione dei progetti da finanziare, sottraendola a burocrazie non sempre capaci di individuare l’innovazione, e si “raddoppia” con le risorse pubbliche quelle dell’investitore privato. L’obiettivo, in sinergia con con il programma “InvestEU” recentemente emanato, è quello di ampliare le opzioni di finanziamento non bancario per le start up, soprattutto quelle che nascono nelle aree più periferiche d’Europa e mostrano maggiori difficoltà di accesso al credito.

#SussidioEuropeo, un sostegno per l’occupazione di tutti gli europei

Occorre creare strumenti paneuropei di protezione e previdenza sociale, a partire da un Sussidio Europeo contro la Disoccupazione. Nel breve periodo, questo potrebbe essere finanziato da ogni Stato attraverso un contributo proporzionato al PIL, mentre nel lungo termine dovrebbe essere alimentato da un sistema paneuropeo di contribuzione da parte di aziende e lavoratori, che integri i sistemi nazionali. Un tale sussidio sarebbe lo strumento più efficace per dotare l’Unione Europea della capacità di intervento nelle aree più depresse, in cui si verificano crisi localizzate, calo della domanda e aumento della disoccupazione. Le caratteristiche del sussidio potranno variare, dalla fissazione di importi nazionali legati al potere d’acquisto a un tetto massimo di utilizzo nazionale delle risorse comuni, ma la misura sarebbe un primo fondamentale passo nella costruzione di un’unione economica e fiscale, non solo monetaria.

Lifelong Learning: la formazione continua dei lavoratori europei

Anche a livello europeo occorre affiancare al sussidio di disoccupazione, politiche che aiutino i lavoratori a costruire e migliorare costantemente le proprie competenze nel corso della propria vita lavorativa. Apprendimento permanente, non inteso come “riqualificazione”, ma come elemento cardine di un più complessivo diritto soggettivo di ogni cittadino alla formazione. I cambiamenti sempre più veloci che si susseguono in tutti i campi ci impongono di finalizzare in modo più puntuale gli investimenti per la formazione lungo tutto l’arco della vita e per le politiche attive, impedendone un uso improprio dovuto all’identificazione di questi strumenti come forme di ammortizzatori sociali. Il “lifelong learning” acquista valore anche rispetto a temi sociali (quali la riduzione delle disuguaglianze) e di crescita civile (quali la responsabile consapevolezza di nuovi diritti e l’impegno nella costruzione degli strumenti per farli riconoscere), ma, soprattutto, è la via maestra per rafforzare la qualificazione dei cittadini che da una riorganizzazione del sistema educativo nel suo complesso possono aspettarsi di essere finalmente messi in condizione di avere opportunità e strumenti permanenti. Non è più sostenibile un sistema basato su una separazione netta tra una fase della vita nella quale si accumula il sapere necessario per le fasi successive e altre fasi nelle quali, al massimo, lo si aggiorna.

Contributi pensionistici riconosciuti in tutta Europa

In attesa di uno stato sociale realmente europeo, si stanno facendo i primi passi per garantire una maggiore interoperabilità dei diversi sistemi nazionali. Vogliamo che l’Europa acceleri in questa direzione, con l’introduzione di un unico codice identificativo contributivo europeo che segua nei loro spostamenti i lavoratori e le aziende per facilitare l’aggiornamento dei relativi dati fiscali e contributivi. Questo diminuirebbe il rischio di frode e “welfare shopping”, ridurrebbe la burocrazia e permetterebbe una maggiore chiarezza sulla totalizzazione dei contributi ai fini pensionistici per quei lavoratori che abbiamo vissuto in più di un paese europeo.